Editoriale

Ecco a cosa servono oggi i quotidiani

Da oltre cinque milioni di quotidiani che si vendevano ogni giorno non molti anni fa, il numero è sceso a poco più di 1,2 milioni e la discesa non sembra fermarsi. La spiegazione è semplice e deriva da alcune cause.
La prima è che la diffusione degli smartphone ha creato in molte persone l’abitudine di avere una lettura estremamente sintetica, per non dire brevissima, dell’informazione. Cosicché, tutti leggono venti o trenta parole, ma quasi mai articoli interi.
Una seconda causa è che le persone non sono più abituate ad andare in edicola e portarsi a casa il quotidiano.

Nel mondo della carta stampata, però, resistono i settimanali di gossip, che vengono venduti in centinaia di migliaia di copie. Evidentemente il pettegolezzo è ambìto e la gente lo ama, tanto che lo compra. Nulla di nuovo sotto il sole perché Carlo Goldoni scrisse Le baruffe chiozzotte nel 1762, che avevano per oggetto proprio il pettegolezzo.
Dunque, nessun rammarico, ma la presa d’atto di un profondo cambiamento nel modo di fare informazione.

I siti, che ricevono milioni o centinaia di milioni di click, sono sempre più diffusi, ma tali click non sono altro che manifestazioni di attenzione lapidaria, incapace di superare anche in questo caso la ventina di parole: l’eccedenza, per la maggior parte degli internauti, è superflua.

I quotidiani calano, i settimanali di gossip si mantengono e anche la vendita dei libri riesce a mantenersi, anche perché gli audiolibri non hanno avuto grande successo.
Ricordiamo sempre che le immagini dei pc, dei tablet e degli smartphone non sono fisse come noi le percepiamo, ma costituiscono la sovrapposizione di numerose immagini al secondo.
Sembra inoltre che i testi digitali non si memorizzino bene come quelli che si leggono sulla carta, per cui si fa molta più fatica per incamerarli.

Volete mettere il piacere di portare a casa un quotidiano, di lasciarlo sul tavolino del salotto, sul tavolo della cucina, sul comodino o anche in bagno? Per molte persone l’assenza di questo strumento di informazione è molto sentita, mentre per altre, per nulla. Saremo forse retrò?

L’andamento negativo delle vendite dei quotidiani crea una carenza nell’informazione cui i/le cittadini/e hanno diritto. Questa carenza, a sua volta, ne crea un’altra di cognizione dei fatti che accadono, con la conseguenza che i/le cittadini/e percepiscono sempre meno i fatti e quindi vi è un rallentamento delle opinioni e dei modi di pensare conseguenti.

Ecco perché i governi dei decenni passati hanno stabilito di sostenere i quotidiani con appositi contributi, distribuiti rigorosamente dal Dipartimento per l’informazione e l’editoria (Die), molto ben gestito. Tuttavia, questi contributi diretti e indiretti non sono sufficienti a compensare la forte diminuzione delle entrate per ciascuna azienda editoriale di quotidiani, dovuta, come prima si scriveva, alla forte diminuzione delle vendite delle copie in edicola e in abbonamento.
Questo forte calo, ripetiamo, non compensato dal contributo statale, sta comportando che i quotidiani via via passano nelle mani di gruppi imprenditoriali o di gruppi di potere e vediamo perché.

La famiglia Angelucci, che ha il suo core-business nella sanità – soprattutto in Puglia, Lazio e Lombardia – ha recentemente acquistato il terzo quotidiano, cioè Il Giornale, fondato a suo tempo da Indro Montanelli e di proprietà del gruppo di Silvio Berlusconi. Pare che l’abbia pagato una trentina di milioni (ma l’informazione non è confermata), aggiungendolo agli altri due già posseduti, cioè Libero, pubblicato a Milano, e Il Tempo, pubblicato a Roma.
Dai bilanci risulta che Il Giornale perda molti quattrini ogni anno, per cui sorgerebbe la domanda: perché un gruppo imprenditoriale compra un quotidiano cui deve rimettere ogni anno molti milioni? La risposta svela la vera natura, oggi, dei quotidiani: mezzi di pressione utilizzati per alimentare, sostenere e difendere il core-business dei gruppi imprenditoriali che li possiedono.
Per esempio, sembra che Il Messaggero di Roma, di proprietà della famiglia Caltagirone, abbia fatto scattare un’inchiesta contro il ministro Giorgetti perché ha diminuito il finanziamento alla metro della Capitale, infrastruttura costruita proprio dal gruppo Caltagirone…