Certo tanti nuovi problemi e difficoltà, tante nuove battaglie politiche, economiche e culturali dovranno essere affrontate dalla rinnovata Europa e da tutti noi. Ma, come io, sulla base di una attenta analisi dei processi di mutamento avvenuti nel resto d’Europa e soprattutto in Germania, sin dal 6 aprile 2020 contro il coro dominante dei giornaloni che continuavano a ripetere: ancora una volta l’Europa non c’è, potevo scrivere: “per fortuna questa volta l’Europa c’è”. E ora noi.
Ricollegandoci a Carlo Cattaneo, possiamo affermare: questa volta anche l’Italia c’è, con dignità, nella “grande famiglia europea”. Ma i nanerottoli ignoranti, non dimentichiamolo, sono stati sconfitti soprattutto dal Covid-19, oltre che dalla reazione del popolo italiano, e da un gruppo ristretto di politici coraggiosi.
Ma come dicevamo non abbiamo solo fragilità ma anche punti di forza, i principali dei quali sono, i seguenti: un’industria manifatturiera di medie dimensioni di grande capacità e produttività. Esistono stime serie che dimostrano che la produttività di questa industria media manifatturiera non è, in molti settori, inferiore a quella tedesca. E come bresciani siamo lieti che Brescia sia un pilastro di questa industria. Si tratta di una constatazione fondamentale, perché per la crescita economica la produttività se non è tutto è quasi tutto. E ciò è confortato dai risultati dell’export italiano che anche nel 2020 sono stati buoni. Ai settori tradizionali si sono aggiunti altri settori relativamente nuovi, come l’Agroalimentare, che sta diventando una forza del nostro Paese e che anche nel 2020 ha segnato risultati eccellenti nell’export. Nella primavera scorsa io mi ribellai ad una visione del tutto negativa dell’economia italiana come testimoniata da un articolo di grande vistosità sul Sole 24 ore, nel quale si parlava di un rischio di “desertificazione industriale”.
Io scrissi che era da irresponsabili diffondere paure di questo tipo, che potevano essere credute solo da persone che non hanno la minima conoscenza di cosa sia l’industria manifatturiera italiana. Oggi si incomincia a capire che, con l’eccezione di pochi settori più di altri duramente colpiti sui mercati internazionali, l’industria manifatturiera italiana non ha mai mollato e anche nel periodo di blocco totale delle attività ha lavorato strenuamente per tenere testa, con coraggio e creatività, alla crisi. I dati a consuntivo del 2020 confortano ora questa visione. Oggi è, in molti casi, migliore di quello che era all’inizio della crisi per il lavoro di riorganizzazione e innovazione che le buone imprese hanno saputo svolgere. Il problema è che questa Italia innovativa e produttiva non rappresenta più del 20% del PIL.
E’ sul resto, sull’80%, che bisogna agire e qui ritorna il peso delle piaghe bibliche che vanno finalmente affrontate portando la produttività in quei settori di questo 80% che ignorano alla radice il concetto stesso di produttività. Dovevamo e potevamo farlo da lungo tempo. Non perdiamo l’occasione che il Coronavirus ci ha spiattellato davanti a noi.