ROMA – Superando qualsiasi previsione, il voto per il rinnovo del Parlamento europeo ha dato uno scossone alla politica internazionale. Al di là dei risultati, che possono essere ritenuti soddisfacenti o meno a seconda dei partiti interessati, il vero dato di queste elezioni da prendere in seria considerazione è stato quello dell’astensione. È questo il segnale di una crescente disaffezione dei cittadini, che in Europa sono 350 milioni, nei confronti delle istituzioni e della politica in generale, con un’opinione diffusa che “tanto non cambia nulla”.
Un voto da sempre a rischio quello europeo, soggetto all’astensionismo perché si tratta di eleggere rappresentanti politici del proprio Paese che vanno a ricoprire ruoli considerati troppo “lontani” dal territorio. Ma se la sfida principale era cercare di limitare il numero di chi avrebbe scelto di non andare a votare, possiamo dire senza timore di smentita che i partiti hanno miseramente fallito.
Ecco i dati: in Italia ha votato complessivamente il 49,69% degli aventi diritto, secondo i dati definitivi pubblicati dal ministero dell’Interno. Dunque, per la prima volta, in occasione delle Europee meno di un italiano su due è andato a votare. Il vistoso calo di chi si è recato alle urne si è palesato fin dal primissimo dato delle 23 di sabato. Un trend confermato anche nella seconda giornata di voto e alla chiusura dei seggi. Nuovo record negativo di affluenza, dopo il 54,5% del 2019.
L’affluenza per le Europee ha visto nel corso del tempo un costante e progressivo, vistoso, calo. Nel 1999 andò a votare il 70,8% degli aventi diritto, nel 2004 il 73%, nel 2014 il voto è sceso al 57,22% e nel 2019 al 54,5%. Dati, questi, con cui tutti i partiti dovranno fare i conti per riportare l’attenzione, ma soprattutto la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni politiche.
Scendendo nei particolari ed esaminando nel dettaglio l’affluenza per Circoscrizioni si può notare come nella sezione Nord-occidentale ha votato il 55,08% degli aventi diritto (nelle elezioni precedenti il dato era stato del 63,59%), nella Nord-orientale il 53,96% (precedente 63,94%); l’Italia centrale ha visto un dato del 52,53% (precedente 59,34%), mentre nella sezione Italia meridionale ha votato solo il 43,69% degli aventi diritto contro il 48,32% delle elezioni del 2019. Il dato peggiore nella Circoscrizione Italia insulare, che comprende Sicilia e Sardegna: il dato si è fermato al 37,73%, non poco distante da quello del 2019 che è stato del 37,20%.
Un Nord più partecipe, dunque, e un Sud Italia invece disilluso, lontano dalle istituzioni. Eppure vi sono state città che hanno partecipato in misura maggiore come Firenze, che ha ottenuto una percentuale di votanti pari al 65,07%, seguita da Perugia con il 62,94%, Bologna con il 60,84% e Brescia con il 60,49%. Maglia nera invece per Nuoro in Sardegna, dove è andato a votare il 29,76%. Proprio la Sardegna è stata la regione con meno votanti in assoluto (36,89%).
Entrando maggiormente nel dettaglio e andando ad analizzare i dati del voto in Sicilia, che ha raggiunto il 38% di votanti, emerge in testa Caltanissetta con una percentuale del 48,05% aventi diritto che si sono recati alle urne, in netta controtendenza rispetto alle precedenti elezioni del 2019 quando era andato a votare solo il 34,30% degli aventi diritto. Un dato, però, che non deve trarre in inganno, visto che nel capoluogo nisseno si sceglievano anche nuovo sindaco e nuovi consiglieri comunali.
Percentuale in aumento anche a Messina con il 41,24% (39,37% nelle precedenti elezioni), in diminuzione invece a Palermo, dove ha votato il 38,88% contro il 39,49 della precedente. Poi Trapani con il 37,96% (34,70% precedente), Agrigento che segna il 36,53% contro un 36,34% delle precedenti, Enna al 35,20% (34,75% nel 2019), 34,14% a Siracusa (36,13% nel 2019) e fanalino di coda Ragusa con il 31,14% contro il 36,24% delle passate elezioni.
E così, se i leader politici esultano per i risultati conseguiti o si leccano le ferite per non aver centrato gli obiettivi, tutti non possono fare a meno di prendere atto del fatto che a vincere davvero è stato l’astensionismo. “Una sconfitta netta – ha detto la segretaria del Pd Elly Schlein – in quanto il dato dell’astensionismo è preoccupante. Per chi come me si sta candidando a contribuire alla ricostruzione di una sinistra che si batte dalla parte degli ultimi, vedere che non stanno più partecipando al voto è una grande sofferenza ed è il primo impegno”.
“L’alto astensionismo – ha affermato la premier Giorgia Meloni – apre a una riflessione sul ruolo dell’Europa, perché il tema dell’affluenza bassa non è solo in Italia ma in tutto il Continente. L’Europa viene percepita come distante e ha portato avanti politiche non condivise dai cittadini. Si vede dal fatto che le forze alternative alla sinistra crescono in tutta Europa. Serve un’Ue più capace di ascoltare i cittadini e meno invadente sulla vita delle persone”.
Eppure sondaggi e associazioni avevano avvertito che il partito più votato sarebbe stato quello dell’astensionismo. E a nulla solo valsi spot per promuovere il voto europeo, campagne informative e quant’altro. Addirittura, era stato realizzato un podcast “Generazione Europa”, grazie anche alla collaborazione della rappresentanza in Italia della Commissione europea e dell’Ufficio del Parlamento europeo per fare percepire ai giovani l’importanza di combattere certe battaglie a livello comunitario. Un fenomeno con cui i partiti si troveranno, volenti o nolenti, a fare i conti.
L’astensionismo è ormai una malattia non soltanto italiana, ma di tutta l’Europa. A Parte alcuni Paesi come Belgio, Bulgaria, Grecia e Lussemburgo – che hanno tutti una forma di voto obbligatorio – nelle altre nazioni che compongono l’Unione europea, a votare sono andati in pochi.
Nei vari Paesi le votazioni si sono svolte in maniera diversa rispetto all’Italia e in alcune nazioni è stato possibile effettuare il voto anticipato rispetto alle date del 9 e 10 giugno. Questo sistema ha consentito così a Malta di racimolare un buon 73% di votanti, ma vi sono state molte altre nazioni che hanno ottenuto una bassa percentuale di aventi diritto che si sono recati alle urne, come accaduto in Italia. È il caso di Croazia (21,34%), Lettonia (33,82%), Portogallo (37,52%), Lituania (28,94%), Estonia (37,70%). Appena intorno al 40-45 % Finlandia, Polonia, Slovenia e Paesi Bassi. Tra il 50 e il 60% dei votanti si sono attestate Austria, Cipro, Danimarca. Romania, Spagna, Svezia e Ungheria. Solo la Germania si è fermata al 64,77%.
Eppure le previsioni dell’Eurobarometro, il sondaggio ufficiale del Parlamento europeo, erano ottimistiche. Il 70 per cento degli intervistati nei 27 Paesi si era dichiarato propenso ad andare a votare e addirittura erano state pubblicate le percentuali di votanti che, probabilmente, si sarebbero verificate: Danimarca (87 per cento), Paesi Bassi (86), Svezia (81), Finlandia (79) e Germania (78). L’Italia in linea con la media europea, con il 70 per cento degli intervistati che si era dichiarato propenso a votare.
Alberto Alemanno, tra i principali analisti della politica europea e fondatore di The Good Lobby, ha spiegato il fenomeno astensionismo del voto europeo. “Non si tratta tanto un problema di sfiducia – ha detto Alemanno – l’Eurobarometro rileva infatti che i cittadini europei tendono a fidarsi di più dell’Unione europea che del proprio Parlamento o Governo nazionali. Manca una sfera pubblica comune in grado di raccontare il sistema politico europeo”.
Per aumentare i votanti, alcuni Paesi hanno aperto le urne a chi ha compiuto 16 anni, come Belgio, Austria, Malta e Germania. E in parte ci sono riusciti. Mentre in Grecia il limite è stato di 17 anni. Nel resto d’Europa ancora non se ne parla.
Occorre però riflettere su un aspetto: non andare votare, non recarsi alle urne, non provoca alcun problema ai partiti che alle elezioni prendono voti. Anche quando l’astensionismo è altissimo, una qualche coalizione comunque ottiene una maggioranza per governare, e governa, cambia le leggi e rappresenta tutto il Paese come se fosse stato eletto da tutti.