Editoriale

Donald o Kamala. Pelosi, Obama e Clinton

Il prossimo 5 novembre è la fatidica data in cui i delegati eletti dal popolo degli Stati Uniti eleggono il loro presidente.
Va subito detto che l’eletto/a non necessariamente ottiene il maggior numero dei voti degli americani, ma il maggior numero dei voti dei delegati. Per cui si è verificata l’anomalia democratica secondo la quale in una delle precedenti elezioni fu eletto il presidente che prese all’incirca due milioni di voti in meno del perdente.
Tuttavia, il sistema elettorale americano funziona così da centinaia di anni, è bene accetto da quel Popolo e quindi non vi è ragione di muovere critica alcuna.

Il ritorno di Donald Trump dopo la precedente sconfitta è un elemento che turba l’opinione pubblica internazionale perché si sa che quell’uomo è fatto in un certo modo, che non ha alcuna difficoltà a mentire, anche ripetutamente, che vede le cose in maniera del tutto personale.
Insomma, non sembra si tratti di uno statista. Ma quella Democrazia non fa eccezioni: chi prende più voti dai delegati diventa presidente.

La candidata democratica Kamala Harris, in atto vicepresidente di Joe Biden, è una pura invenzione, si dice, di Barack Obama, quando egli si è accorto che lo stesso Biden sarebbe andato incontro a una sicura sconfitta, date le sue precarie condizioni di salute. Cosicché, lo stesso Obama, insieme a Bill Clinton e a Nancy Pelosi, già speaker (presidente) della Camera, si è messo all’opera per tentare di portare la stessa Kamala al seggio presidenziale.

Vi è subito da dire che forse per la prima volta viene violata la prassi statunitense secondo la quale il candidato/a debba passare per le primarie, vale a dire per le elezioni di primo livello e questo non è avvenuto, come è noto, perché in quella fase fu nominato candidato Joe Biden.
Tuttavia, la violazione di una prassi non è violazione di legge, per cui la Harris ha tutti i titoli idonei a concorrere alla presidenza degli Stati Uniti.
Non è la prima volta nella lunga storia, che parte dal 1787 – anno di approvazione della Costituzione americana – che vi sono due candidati, ciascuno per il proprio verso, che non sembrano all’altezza della situazione.

Cerchiamo di capire interpretando dei segnali, quale potrebbe essere la linea di Trump e quella di Harris.
Il primo, si sa, è un decisionista, ma ha sul groppone molti processi, per altro rinviati dalla Corte Suprema di quel Paese, ove sei giudici su nove fanno riferimento allo stesso Trump. Se fosse eletto probabilmente tutti i processi andrebbero al macero perché non si può processare il presidente degli Stati Uniti.

A parte questa considerazione sulla persona, vi è da dire che Trump vede la guerra russo-ucraina in un modo diverso da Biden, per cui egli sarebbe portato, l’ha già detto, a concluderla rapidamente in base all’accordo chiamato “Corea”, cioè lasciando i confini come sono in atto, tacitamente accettati dalle parti e con la contestuale cessazione delle armi.
Poi Trump vede come fumo negli occhi la crescita e lo sviluppo della Cina, che sta invadendo il mercato mondiale e statunitense con le auto elettriche, i semiconduttori e altri componenti digitali che costituiscono l’oro di domani.
Trump ha anche precise idee sugli immigrati, tanto che farebbe continuare la costruzione del famoso muro al confine con il Messico. Insomma, un vero repubblicano.

Harris ha una linea politica più morbida, più accogliente verso gli immigrati, più filo-Zelensky e meno filo-Netanyahu. Non è così rigida nei confronti della Cina perché pensa di poter tessere un rapporto ragionevole e di reciproco interesse.
Queste considerazioni provengono da una serie di elementi che abbiamo voluto raccogliere in questi anni. Però dobbiamo mettere in evidenza che la Harris, nonostante la sua eccellente preparazione, come vicepresidente degli Stati Uniti non ha dimostrato una vera personalità, per cui è difficile capirne la radice.
In ogni caso, il cinque novembre non è lontano e nella notte sapremo il responso. Va ricordato che il presidente degli Usa si insedia il 20 gennaio dell’anno successivo e che durante questo scorcio di legislatura resta in carica Joe Biden.