Intervistato dal vice direttore Raffaella Tregua, il presidente di Forma.Re e Arché Impresa Sociale, Emilio Romano, risponde alle domande del QdS.
Il ministro Calderone ha lanciato qualche giorno fa un l’allarme: mancano 1 milione di lavoratori da impiegare. Non si riesce a uscire da questo mismatch tra domanda e offerta, in cui paghiamo molti errori compiuti nel passato. Com’è possibile uscirne?
“Parto da una breve analisi basata sulla mia esperienza lavorativa. Bisogna tenere conto di un dato statistico che comincia a essere significativo: la contrazione demografica. Inutile fare finta di non sapere: l’Istat dice che ogni donna mette al mondo 1,2 figli. Tra 30 anni la media scenderà ulteriormente e questo è un dato che riguarda non soltanto l’Italia, ma tutta l’Europa. Tutto il continente sta invecchiando, ma in altri Paesi come Francia, Germania o Inghilterra tutto ciò non pesa come in Italia. Esiste una parola magica: immigrazione. Da noi gli immigrati sono un problema, da altre parti sono una risorsa. Gli immigrati vengono seguiti, formati e collocati nelle aziende attraverso il sistema di agenzie orientative. Quindi si integrano nella società. Sono gli Stati Uniti a insegnarcelo: chi entra, ha un’opportunità. Poi va considerato un secondo punto: da noi, soprattutto al Sud, c’è un problema di sovraistruzione. Abbiamo numerosi giovani che vengono sovraistruiti, hanno una preparazione superiore a quella che viene richiesta dalle aziende. Alcuni ragazzi, per poter vivere e avere una stabilità, accettano lavori sottodimensionati, mentre tanti altri vanno via. Il problema dei ‘cervelli in fuga’ nasce da questo. Serve un’interconnessione tra le imprese, gli enti di formazione, le Università, le famiglie e il territorio in generale. Serve integrazione tra la scuole e il mondo del lavoro ed esistono molti esempi in Europa come quello della Germania. Abbiamo fatto un incontro con i nostri colleghi tedeschi e ci siamo accorti che lì il sistema funziona molto bene. In Italia esistono già degli strumenti e il principale, invidiato da tutta Europa, è quello del sistema tecnico superiore Its. Abbiamo una percentuale media di assunzione dell’85%. Il resto sceglie di continuare gli studi con l’Università, altrimenti verrebbe assorbito. In Sicilia il sistema dell’Information Technology ha il 100% delle assunzioni. Nell’Isola esistono 11 Its. Quello che fa capo all’istituto Steve Jobs di Caltagirone è il migliore: ha indovinato il settore. A Catania c’è quello legato alla nautica, ovvero l’Istituto nautico con quasi il 100% delle assunzioni”.
Unioncamere-Anpal pubblica ogni mese il bollettino sulle previsioni di assunzione: mancano figure come ingegneri, ma anche fabbri. Il Reddito di cittadinanza secondo lei ha favorito queste dinamiche negative, per cui le aziende lamentano il fatto che non ci sono candidati alle posizioni richieste? Esiste anche un fattore culturale?
“Faccio un esempio. In Sicilia quest’anno, fino a ottobre, saranno necessari 21mila operatori della ristorazione. Tuttavia, si dice che si riuscirà a coprire soltanto la metà dei posti. Perché? Da una parte è vero che bisogna soddisfare la richiesta con dei contratti ufficiali, ma dietro c’è un grande lavoro in nero. I giovani sono sfruttati, lavorano fino a 50 ore a settimana e preferiscono il Reddito di cittadinanza. Attenzione, non lamentiamoci del Reddito perché ha funzionato per le famiglie povere. Molte di queste sono state salvate, però serve un’integrazione con i controlli”.
Accanto alla mancanza di personale, qual è la difficoltà che ricorre più di frequente per le aziende a cui offrite consulenza?
“Abbiamo un sistema di piccole e medie imprese. Non esiste la grande impresa come al Nord Italia. La piccola e media impresa è particolarmente esposta statisticamente ai licenziamenti, ad alti e bassi. Queste non riescono a dare stabilità al lavoratore. Addirittura, l’impresa stessa è spesso causa della disoccupazione. Purtroppo, il nostro sistema welfare non funziona, è mediocre. A questo dobbiamo aggiungere il sistema fiscale perché l’azienda ha almeno il 60% di costi extra complessivi rispetto al netto che viene dato al dipendente. Che dovremmo fare? Le imprese, da un lato, dovrebbero selezionare e collocare le persone in un loro contesto lavorativo per il quale hanno studiato; dall’altro, ci sono le realtà formative, dall’Università agli enti di formazione, che dovrebbero creare quei ruoli che le imprese cercano. Ma esiste un problema fondamentale: le aziende hanno la pretesa di ricevere dallo Stato la formazione in maniera gratuita e di avere i formati che cercano pronti per l’uso. Non funziona, si tratta di un problema di educazione imprenditoriale”.
In Sicilia la formazione professionale è stata spesso pretesto per creare bacini clientelari. Il progetto Gol ha incontrato non poche criticità nella nostra Isola: a che punto siamo?
“Siamo fermi. La Regione Siciliana ha pensato che il programma Gol dovesse essere gestito attraverso tre bandi: avvisi 1, 2 e 3. I primi due avvisi fanno capo all’assessorato al Lavoro e alla Famiglia: uno al Dipartimento Lavoro e l’altro al Dipartimento Famiglia. L’avviso 3, che riguarda la formazione, fa capo all’assessorato all’Istruzione e alla Formazione e al Dipartimento Formazione. Quindi abbiamo tre Dipartimenti all’interno di due assessorati e non esiste una cabina di regia. I Dipartimenti non comunicano. Recentemente è stato pubblicato il catalogo per i corsi, il programma Gol prevede che gli utenti debbano essere prima orientati. Gli avvisi 1 e 2 stabiliscono chi deve occuparsi dell’orientamento, ma in questo momento sono fermi. Quindi come possiamo orientare queste persone?”.
In che modo provate a spiegare ai giovani che si avvicinano alla vostra realtà che la competenza è la chiave di tutto?
“I giovani vanno sostenuti e accompagnati. Viviamo in un’epoca difficile. Dobbiamo educare i nostri figli a guardare la realtà non come una dimensione dal futuro incerto e dove le cose vanno sempre male. Dobbiamo aiutarli a tirare fuori il loro talento e le loro motivazioni. Dobbiamo tirare fuori tutto il bello che hanno dentro. La responsabilità è di noi adulti: da una parte ci sono le famiglie che rappresentano il nucleo principale, ma anche l’imprenditore deve essere un educatore. Insieme ai formatori dobbiamo individuare le figure e formarle. Bisogna entrare in aula. Il messaggio che voglio mandare è quello di dover puntare sui giovani e innamorarci dei nostri giovani”.
Qual è la formazione ideale? Quella incentrata sulla teoria, quella pratica o è giusto bilanciare sempre i due aspetti?
“L’ex premier Mario Draghi ha messo a disposizione una grossa somma per fare nascere ulteriori Its, soprattutto al Sud dove c’è maggiore disoccupazione. Quelli attuali non funzionano perché alcuni sono stati gestiti male e sono frutto di un clientelismo politico esagerato. Le eccellenze in Sicilia sono quelle già citate, ma la Regione cosa fa? Non ha alcuna intenzione di aprire altri bandi. Insieme all’Its esistono altri due strumenti fondamentali che riguardano principalmente la formazione. Il primo è il cosiddetto Sistema duale: i ragazzi trascorrono buona parte del loro tempo in azienda. Rimangono lì per due anni, si fanno conoscere, imparano il mestiere e, in questo modo, avviene un’integrazione tra teoria e pratica. Inoltre i giovani assimilano materie come l’inglese. Tendenzialmente li facciamo restare poco in aula teorica, imparano l’inglese sul posto attraverso il linguaggio tecnico. Inoltre, esiste il sistema dell’apprendistato che risulta essere efficacissimo. In Paesi come Germania e Svizzera l’apprendistato è diventato una bandiera. Abbiamo un’esperienza diventata un simbolo: un’azienda che produce divani e poltrone attraverso un sistema antico ha avuto bisogno di falegnami specializzati, ma non li hanno trovati. Ci siamo messi all’opera, è uscito un bando regionale che dava questa possibilità e ne sono stati presi tre. Tra l’altro, uno di questi tre è un immigrato che oggi è il capo tecnico di un’area. Ci sono dei mestieri che vanno ripresi”.