Epatite acuta nei bambini, sono tre le segnalazioni in Sicilia fino a questo momento, arrivate in provincia di Palermo e di Agrigento. A confermarlo le autorità sanitarie. L’ultimo riguarderebbe un bambino di 5 anni, ricoverato all’ospedale “Di Cristina” del capoluogo siciliano.
“Si è vero, in Sicilia sono segnalati, ci sono degli elementi clinici che fanno pensare all’epatite, ma non è certo che è da collegare al quadro di epatite acuta – dice il professore Giovanni Corsello, ordinario di Pediatria all’università di Palermo -. Per essere certi che si tratti di epatite acuta, bisogna escludere altre cause, ci sono una serie di indagini. Attualmente non c’è allarme epidemiologico, non sono numeri che possono preoccupare – dice Corsello – Ci vuole una stretta sorveglianza, bisogna capire che tipo di virus è e se è un tipo di virus nuovo e perchè in certe aree ha maggiore incidenza”.
Corsello tende anche a tranquillizzare sulla gravità: “Non ha dei particolari indici di aggressività, la maggior parte dei casi si risolve con una terapia spontanea, i casi epatiti gravi rientra nel numero delle epatiti virali acuti”.
I sintomi nei bambini, fino a quando non compare l’ittero, possono essere quelli di un’infezione virale, con febbricola, rifiuto alimentazione, diarrea, quindi confondibili con un’influenza o altro. “Insomma inizia con una sintomatologia aspecifica, quando poi le cellule epatiche vanno in circolo, compare l’ittero. Segnale di un’epatite già strutturata”, dice Corsello.
“Se i sintomi persistono, bisogna testare funzionalità epatica, prima che compaia l’ittero. Dopo 48-72 ore senza miglioramenti, bisogna fare delle analisi”, conclude Corsello.
Sono venti le segnalazioni di epatiti acute di origine misteriosa nei bambini in Italia, di cui 8 sono i casi che rientrano nella definizione dell’Oms, mentre 12 sono in corso di accertamento.
A fare il bilancio aggiornato della situazione è stato il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri, che però ha invitato «a non fare allarmismi”: non c’è una catena di contagio conosciuta, i casi sono ancora molto pochi e nella «stragrande maggioranza le cure sono state risolutive».
Rimane comunque il grande interrogativo su quale sia la causa di questa inattesa diffusione di casi di epatite acuta senza che vengano trovati nei piccoli pazienti i virus «classici» dell’epatite.
Ieri l’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato un primo focus sul tema, chiarendo con fermezza che il collegamento con il vaccino anticovid è del tutto infondato, se non altro perchè, essendo i bambini molto piccoli, la maggioranza non era nemmeno stata vaccinata.
Mentre L’Oms ha escluso anche legami con il consumo di alimenti o la somministrazione di medicinali. «Improbabile», secondo l’Iss, anche l’ipotesi adenovirus, avanzata da molti scienziati, e rilanciata invece oggi dall’Agenzia per la sicurezza sanitaria del Regno Unito (UKHSA), secondo la quale ci sarebbero sempre più prove crescenti che sia proprio un virus il responsabile, per l’esattezza l’adenovirus F41.
«Le informazioni raccolte attraverso le nostre indagini suggeriscono sempre più che questo aumento dell’insorgenza improvvisa dell’epatite nei bambini è legato all’infezione da adenovirus. Tuttavia, stiamo indagando a fondo su altre potenziali cause», hanno affermato gli scienziati Oltremanica. Si valuta anche l’eventualità che ci sia stato un cambiamento nella composizione genetica del virus che potrebbe innescare più facilmente l’infiammazione del fegato.
Un’altra possibile spiegazione è che le restrizioni imposte nella pandemia possano aver portato i bambini piccoli a essere esposti per la prima volta all’adenovirus in un momento successivo della loro vita, portando a una risposta immunitaria «più vigorosa» in alcuni.
Si muove anche l’Unione Europea, con l’Ecdc che domani esprimerà una prima valutazione del rischio: «L’Ue sta seguendo ovviamente da vicino la situazione. Ed è una situazione preoccupante. Come forse sapete, dal 25 aprile abbiamo confermato circa 40 casi in 12 Stati e sono di origine ignota. Altri circa 110-112 casi sono stati riportati in Gran Bretagna», ha dichiarato la commissaria europea alla Salute, Stella Kyriakides.
«Finora i casi riscontrati sembrano riguardare i bambini dall’età di un mese e i sedici anni. Alcuni di loro hanno avuto un trapianto di fegato. Ciò che vediamo è che l’origine sembra virale, una sorta di adenovirus ma come ha detto l’Ecdc, servono ulteriori informazioni, e sta lavorando a una valutazione del rischio che verrà pubblicata domani. Quello che chiedo è che gli Stati membri condividano con tutte le informazioni per essere in grado di monitorare al meglio la situazione».
«Bisogna evitare le fughe in avanti: al momento l’indiziato numero è l’adenovirus – spiega all’AGI l’infettivologo Matteo Bassetti, direttore della clinica malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova – L’ipotesi, a mio parere, è credibile visto che per due anni i bambini non sono stati a contatto con i patogeni. Inoltre dallo studio inglese emerge che il 50% dei bambini che avevano sviluppato questo erano positivi all’adenovirus. Bisogna dunque essere attenti, ma non fare fughe in avanti, perchè si tratta solamente di un’ipotesi». Mobilitati anche i pediatri, che hanno fatto scattare la rete nazionale di sorveglianza: saranno segnalati e registrati tutti i casi sospetti.
Come riconoscerli? In Gran Bretagna, sottolinea l’Iss, «la presentazione clinica dei casi era di epatite acuta grave con aumento delle transaminasi (AST/ALT) superiore a 500 IU/L e in molti casi ittero. Nelle settimane precedenti, alcuni casi avevano presentato sintomi gastro-intestinali tra cui dolore addominale, diarrea e vomito. La maggior parte dei casi non ha presentato febbre.
Alcuni casi hanno usufruito di cure specialistiche in unità epatologiche pediatriche e alcuni di questi hanno ricevuto un trapianto di fegato». In maggioranza un decorso benigno insomma, ma una quota non irrilevante ha invece avuto una forma grave, tanto da dover ricorrere al trapianto