Qualcosa si muove nella conservatrice e stantìa Sicilia. Domani pomeriggio davanti all’assemblea regionale siciliana, riunita a Palazzo dei Normanni per discutere dei diritti delle donne, ci sarà un sit in, una manifestazione per affermare un principio. La donna siciliana non è diversamente abilitata come le altre donne italiane.
Il fatto è che si vota il recepimento della norma italiana riguardante la quota minima di assessori nelle giunte dei comuni. Nel resto d’Italia questa quota è almeno il 40%, in Ars, l’acronimo del parlamento regionale, si voleva portare questa quota molto al di sotto di questa soglia. Il motivo? Presto detto, questa norma nazionale rubava spazio ai maschi siculi, secondo loro, ma non secondo i cittadini siciliani, più idonei a fare politica, a raccogliere consensi, a gestire un territorio che rimane difficile. In più ci sarebbero immediate faide tra i partiti, prevalentemente, al di la delle dichiarazioni di facciata, maschilisti su chi dovrebbe rinunciare ad assessori maschi.
Le donne scassato la cosiddetta, disse uno degli ultimi mohicani democristiani, ma oggi perfino la vituperata da Zucchero Azione Cattolica fa un roboante appello contro il maschilismo ferocemente annidato tra i politici siciliani. Se si voterà con voto segreto l’adeguamento al resto d’Italia, in un isola recalcitrante, non passerà.
Se invece il voto sarà palese i partiti saranno costretti a votarla per non passare per dei trogloditi oscurantista, visto l’enorme can can mediatico che si è sviluppato. Forse verrà tentato un compromesso, la ritardata applicazione della norma dalle prossime votazioni, cercando di non creare problemi alle giunte in atto. Le donne si, ma non oggi, tanto del diman non c’è certezza.
Così è se vi pare.