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Mario Giarrusso: “Erogare risorse indirizzandole su interventi mirati e necessari”

Senatore Giarrusso, queste continue scaramucce in seno alla maggioranza di Governo sono l’anteprima di quanto accadrà dopo il 26 maggio?
“Devo premettere che, da quando sono stato eletto per la prima volta a Palazzo Madama nel 2013, certa stampa è sempre stata contraria al Movimento 5 stelle. Un atteggiamento che, come era prevedibile, si è acuito con il nostro ingresso nella compagine governativa, diventando ancora più smaccato: denigrano noi e incensano Salvini. Ora, le critiche all’operato di un Governo nel suo insieme ci possono pure stare; quelle al solo 50 per cento di un Esecutivo un po’ meno. Detto ciò, da che io ricordi, sempre all’interno di Governi di coalizione, in prossimità di tornate elettorali, ci sono state tensioni, prontamente appianate. Il Governo guidato da Conte è composto da due forze eterogenee: una, la Lega, che è l’unico partito sopravvissuto alla vecchia politica e con oltre trent’anni di storia e, dunque, magari anche con qualche retaggio di un antico modo di fare politica; l’altra, il Movimento 5 Stelle, che rappresenta il più nuovo fra i gruppi parlamentari ma, ovviamente, nel momento in cui firma un contratto di Governo, fa della lealtà la sua bandiera. Una coerenza che, è evidente, non ha pagato molto: com’è possibile che una parte della coalizione salga e l’altra scenda? Perché o il Governo sta facendo cose non buone, e allora perdono tutti; oppure c’è una palese asimmetria nella percezione dei cittadini”.

Il problema sarà dopo le Europee?
“No, per me il ‘dopo’ non rappresenta affatto un problema. Anche perché se guardiamo la storia, le Elezioni europee non hanno mai portato bene a chi le ha vinte”.

Quanto ritiene che l’operato di Governo fino a questo momento, a livello nazionale, abbia influenzato questa tendenza?
“Quanto abbiamo messo in atto finora, in realtà, punta a dispiegare i propri effetti nel lungo termine. Quota 100, quindi graduale superamento della Legge Fornero e, più ancora, Reddito di cittadinanza hanno l’obiettivo non soltanto di dare respiro ai poveri ma anche di immettere liquidità. Diamo la possibilità di spendere a chi fino a questo momento è stato costretto a stringere la cinghia, arrivando a sacrificare anche bisogni primari”.

Immettere liquidità significa anche sbloccare i cantieri e far ripartire le infrastrutture?
“Assolutamente sì. Sebbene, va precisato, certi cantieri a oggi non sono bloccati per colpa del Governo ma per le difficoltà di certa imprenditoria che è andata a picco con la vecchia classe politica. L’attuale Esecutivo ha fatto già molto con il Decreto Sbloccacantieri, che punta a erogare quattrini indirizzandoli, in maniera corretta, verso interventi mirati e necessari. A differenza della precedente classe politica, che ha addirittura tolto 2 miliardi e 800 milioni di euro destinati alla realizzazione di infrastrutture al Sud per destinarli a Expo. Il nostro obiettivo è quello di far ripartire la spesa pubblica attraverso interventi che facilitino la partecipazione alle gare di piccole imprese fino a ieri tagliate fuori dal sistema. Una distribuzione orizzontale delle risorse, non finalizzata a finanziare maxiprogetti nei confronti dei quali, lo preciso, il Movimento 5 stelle non ha preconcetti. Ma se maxiprogetto deve essere, che sia qualcosa di veramente utile. Noi non siamo contrari alla Tav. Però che senso ha spendere soldi e realizzare 57 chilometri di buco se poi per raggiungere Reggio Calabria da Roma la rete ferroviaria lascia molto a desiderare?”.

E il Ponte sullo Stretto?
“Anche in questo caso il Movimento 5 stelle non è aprioristicamente contrario. Tuttavia come si fa a realizzare un’opera così imponente senza pensare a quello che c’è, o meglio non c’è, prima e dopo il Ponte?”.

Le infrastrutture sono fondamentali anche per far ripartire il mercato del lavoro: ogni miliardo di euro investito vale circa 8 mila nuovi posti di lavoro…
“Se, però, è speso bene e finisce sul territorio. In Italia abbiamo avuto per anni anche questo problema: i calcoli dei nostri economisti sull’effetto moltiplicatore della spesa pubblica, purtroppo, non hanno tenuto conto della somma dei fattori M, Mafia, e C, Corruzione. Per cui se il miliardo di cui sopra finisce nelle mani sbagliate, non solo non produce l’effetto desiderato ma, anzi, ottiene l’esito contrario: la depressione”.

Per fare questo, però, non ritiene necessaria anche una seria riforma della Pubblica amministrazione, che sul modello francese o anglosassone punti su criteri di responsabilità…
“In Italia noi, a oggi, ci troviamo tante posizioni apicali e diversi dipendenti lavorativamente avanti negli anni. In questo senso vedo con estremo favore il Disegno di legge di riforma voluto dal ministro Bongiorno finalizzato a individuare soluzioni concrete per garantire l’efficienza del settore pubblico, nel quale bisogna assolutamente introdurre due principii cardine: merito e responsabilità”.


Una Sicilia al centro del Mediterraneo può fare del turismo una miniera d’oro

Oggi il problema del Mezzogiorno è soprattutto di natura finanziaria: circolano pochi soldi…
“E ne potrebbero girare molti di più se riuscissimo ad agguantare la congiuntura, che è quella del Mediterraneo. Un’opportunità che ci sta sfuggendo di mano ma che fa della bellissima Sicilia una piattaforma naturale per quella risorsa, il turismo, vera miniera d’oro per la nostra terra”.

Un tema spinoso è pure quello del debito pubblico. Cosa ci può dire?
“Anche su questo aspetto dobbiamo essere chiari: nel nostro Paese il raddoppio del debito pubblico lo si è avuto con l’avvio a regime delle Regioni, le quali hanno speso tanto e male nel settore sanitario. Una materia che, lo dico serenamente, sebbene possa apparire un paradosso, va tolta alle Regioni. Per assurdo, anche in quelle aree del Paese dove la sanità funziona. Prendiamo il caso della Lombardia, diametralmente opposto a quello della Sicilia o della Calabria. In Lombardia, dove hanno una sanità indubbiamente di eccellenza, hanno costruito ospedali ovunque. E qual è il costo del sistema? Tre volte quello pro capite siciliano o calabrese. A cui va aggiunto il meccanismo perverso del cosiddetto turismo sanitario del cittadino calabrese o siciliano che, ritenendo di non poter usufruire degli stessi servizi nelle rispettive regioni di residenza, va a curarsi in Lombardia, dove, ovviamente, viene accolto con il tappeto rosso perché poi le somme vengono prelevate dalla spesa di Sicilia o Calabria. Un fenomeno che può condurre anche al malaffare, generando un sistema che il Movimento 5 stelle sta cercando, coraggiosamente, con prudenza, ma senza farsi intimorire, di sbaraccare. È ovvio che criminalità organizzata e corruzione seguano, un po’ come fanno i salmoni che risalgono la corrente, il fiume di denaro che va dove si genera ricchezza, non povertà”.


Riforma dell’editoria e raccolta pubblicitaria

Parlando di riforme importanti, non può non venire in mente quella dell’editoria. Quali correttivi servono, secondo lei?
“Il tema del contributo pubblico ai giornali non è stato inserito nel contratto di Governo. Tuttavia non significa che non ci fosse l’intenzione di fare qualcosa sull’argomento. In fondo è un’anomalia tutta italiana che oltre il 30 per cento dei soldi finisca nelle casse di quattro o cinque testate al massimo, lasciando pressoché a bocca asciutta le altre. È necessaria, quindi, una redistribuzione delle risorse disponibili. Ma un’altra priorità è la riorganizzazione della raccolta pubblicitaria, attraverso l’introduzione di un tetto per quella che finisce sul mezzo televisivo. Una manovra che, senza spendere un centesimo di denaro pubblico, reimmette liquidità sul mercato, facendo tornare la pubblicità anche sulla carta stampata. Prestando, però, sempre la massima attenzione a un aspetto: se un giornale ha tra i suoi maggiori investitori pubblicitari un colosso industriale, quel giornale non può definirsi totalmente libero. Verosimilmente, accadrà che se un giornalista di quella testata avesse tra le mani del materiale per un’inchiesta che vede coinvolto anche il colosso in questione, quell’inchiesta non troverebbe mai spazio su quel quotidiano o periodico. Dunque, da un lato noi dobbiamo diminuire le quote pubblicitarie delle televisioni, dall’altro porre un tetto anche ai grandi investitori sulla stampa nazionale. C’è, infine, un ulteriore tema importante, i cosiddetti ‘incroci’: in Italia bisogna che gli editori tornino a essere editori puri e non che a un certo punto decidano di buttarsi in politica, utilizzando magari come baionette le proprie televisioni o i propri giornali”.