Palermo

Corruzione ed estorsione nei lavori al porto di Palermo, sequestro da 80mila euro e due arresti

Presunto caso di estorsione nell’ambito dell’appalto per la ristrutturazione e il restyling della stazione marittima del porto di Palermo: scattano gli arresti domiciliari per il direttore tecnico e il direttore di cantiere di una società aggiudicataria dell’appalto e anche un sequestro preventivo da 80mila euro, quale profitto dell’attività illecita.

A eseguire le misure, su disposizione del giudice per le indagini preliminari di Palermo, sono stati i finanzieri del comando provinciale del capoluogo regionale. Si ricorda che per gli indagati sul presunto caso di estorsione sussiste la presunzione di innocenza fino alla sentenza definitiva.

L’appalto al porto di Palermo e la presunta estorsione

Le indagini, condotte dagli specialisti del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Palermo (Gruppo Tutela Spesa Pubblica) sono partite da una denuncia sporta dall’Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sicilia Occidentale, con la quale erano stati segnalati ritardi nell’esecuzione della commessa pubblica. Tali rallentamenti sarebbero da attribuire a una conflittualità tra la società aggiudicataria e alcune ditte sub-appaltatrici, causata dal differito o mancato pagamento dei lavori eseguiti.

Nel corso delle investigazioni è emerso che il direttore tecnico e il direttore di cantiere dell’impresa aggiudicataria dei lavori avrebbero preteso, dai titolari di tre imprese sub-appaltatrici, un illecito pagamento di somme di denaro “extra”, che arrivava fino al 30% del valore dei lavori affidati, minacciando che, in caso di rifiuto, sarebbe stata preclusa la prosecuzione delle attività.

A tali minacce sarebbero poi, in concreto, seguite pesanti ritorsioni, come controlli a sorpresa e il ritardo nel pagamento delle fatture fino ad arrivare alla mancata liquidazione di parte delle stesse.

I casi denunciati

In un caso sarebbe stato accertato che il titolare di una delle imprese vessate, cedendo all’estorsione, avrebbe corrisposto 80.000 euro, di cui 45.000 in contanti e 35.000 tramite bonifici bancari, utilizzando causali fittizie, su un conto corrente intestato alla madre del direttore di cantiere.

Al fine di creare la provvista di denaro per le illecite cessioni, inoltre, gli indagati avrebbero suggerito ai sub-appaltatori di:

  • utilizzare nei lavori di ristrutturazione prodotti di qualità più scadente rispetto a quelli previsti nel capitolato e riportati nelle fatturazioni, anche a scapito dell’incolumità pubblica;
  • sovrafatturare le prestazioni svolte nei confronti della ditta appaltatrice.