Il quarantenne che ci parla degli effetti sulle strutture e sui comportamenti organizzativi aziendali, di quella che intorno al 1953 fu, suggestivamente e giornalisticamente ma, penso, impropriamente, chiamata da un gruppo di studiosi americani, “Artificial intelligence”, AI (di seguito la chiamerò in italiano IA, Intelligenza Artificiale, è indubbiamente intelligente, preparato, brillante.
E’ anche simpatico e accattivante. Lo ascolto con piacere anche perché conosce bene i fondamentali del parlare in pubblico, di scuola sicuramente americana. Un po’ mi commuovo perché mi fa pensare a quando, alla sua età, brillantissimo partner di una, allora, tra le più famose società di consulenza aziendale del mondo, distribuivo certezze aziendali con la stessa sicurezza e con la stessa buona fede del nostro giovane e brillante docente.
Di formazione è uno psicologo ed anche questo è un aspetto positivo perché l’immissione di più cultura psicologica nel management aziendale non può che essere benvenuta. Ve ne è, da tempo, a prescindere da digitalizzazione e IA, un grande bisogno, ma essa deve essere ben integrata e bilanciata con una maggior conoscenza della storia economia e della storia aziendale, con una più approfondita conoscenza dei principi delle discipline manageriali e organizzative e con una buona cultura generale. E soprattutto “pas trop de zéle”. A questo pensavo mentre il giovane docente si rivolgeva ad una platea di esperti aziendali, come se fossero del tutto ignari di buoni studi ed esperienze sulle problematiche di organizzazione, innovazione, salti tecnologici, come se nessuno avesse letto Schumpeter, Drucker, e i tanti testi di qualità sulla Economia della conoscenza.
Ora arriva l’IA a miracol mostrare ed a trascinarci fuori dall’oscurantismo. Ascoltarlo mi fa pensare ai guaritori che, nell’immediato dopoguerra, venivano, ogni tanto, con una vecchia balilla, nei paesini della Franciacorta a vendere unguenti miracolosi per tutti gli usi. Penso anche a cosa possono essersi detti e come ed in che lingua Cristoforo Colombo ed i suoi, nei primi approcci con gli indigeni dell’isola dove erano sbarcati. Il nostro brillante docente ci tratta un po’ come Colombo ed i suoi devono aver trattato quegli indigeni. Ma soprattutto, mentre il brillante docente parla di innovazione e di IA con fervore missionario, mi viene, improvvisamente, alla memoria la figura di mia nonna Amalia, alla quale, colpevolmente, non pensavo più da oltre cinquant’anni.
Nonna Amalia morì, quasi centenaria, aiutata da una caduta da una scala, con collegata frattura del femore, nel 1953, esattamente nello stesso anno in cui John MacCarthy, propose il termine di Artificial Intelligence al costituendo gruppo di studiosi della “1956 Dartmouth Conference”, considerati “The Founding Fathers of AI”. Nonna Amalia era nata nel 1853, regnanti in Campania, dove era nata ed abitava, i Borboni, secondo l’assetto politico europeo elaborato al Congresso di Vienna (1815) principalmente dal principe Klemens von Metternich.