La lava dell’Etna che si fa strada tra la neve è stata fotografata dallo spazio da un satellite celebre per la sua super vista, l’italiano Prisma dell’Agenzia Spaziale Italiana (Asi) e le immagini sono state elaborata utilizzando il canale visibile (Vnir) dello strumento iperspettrale a bordo, realizzato da Leonardo, il più potente al mondo di questo tipo. Ma Prisma riesce anche a prevedere le eruzioni e ad analizzare i materiali.
La tecnologia con la quale per la prima volta è stato osservato il vulcano attivo più alto d’Europa permette di vedere più dell’occhio umano e di riconoscere non solo le forme degli oggetti, ma risalire agli elementi chimici che li costituiscono.
Ogni materiale ha infatti una propria firma spettrale, un’impronta digitale che lo strumento di Prisma (PRecursore IperSpettrale della Missione Applicativa) è in grado di analizzare viaggiando a 27.000 chilometri orari a una quota di 620 chilometri. Nel caso delle eruzioni vulcaniche gli speciali occhi di Prisma sono in grado di riconoscere i fronti di colate successive, aiutando a prevedere l’evoluzione di quelle future.
E’ prorpio quanto è accaduto: le immagini, riprese il 24 febbraio, suggerivano una possibile evoluzione verso nuovi fenomeni eruttivi e in effetti, qualche ora più tardi l’Etna ha prodotto una spettacolare eruzione, con fontane di lava che hanno raggiunto un’altezza di 500 metri sopra il cratere e colonne di cenere e lapilli che si sono stagliate nel cielo per chilometri.
L’elaborazione dei dati relativi al pennacchio può inoltre aiutare a comprendere la composizione dei gas, uno dei parametri premonitori dell’attività vulcanica fondamentali per l’analisi del rischio. Elaborare le firme iperspettrali delle aree ad alta emissione termica (hot-spot) contribuisce invece a stimare l’andamento del flusso di energia emesso e quindi a prevederne la tendenza e il rischio. Infine, studiare la composizione di lava e cenere può aiutare a comprendere le condizioni interne al vulcano e avere indicazioni sull’evoluzione della pericolosità.