Le analisi fin qui condotte sugli eventi climatici estremi, ricostruiti e mappati da Legambiente, vengono ampliate e rafforzate dai dati forniti da Enea relativi al mar Mediterraneo, un’area sensibile (per numerose ragioni) e dunque da sempre sotto la lente d’ingrandimento. L’osservatorio climatico dell’agenzia sito a Lampedusa – in occasione dei suoi 25 anni – ha presentato un importante studio sull’evoluzione del clima e sulle sue variabili essenziali. La risultanza più significativa è quella relativa all’incremento della CO2 nel Mare Nostrum, aumentata – dal 1997 ad oggi – da 365 a 420 parti per milione (+ 15%), con il tasso di crescita annuale che è passato da 1.7 a 2.6 ppm/anno.
Desta preoccupazione anche l’incremento gas metano, che passa da circa 1825 a 1985 parti per miliardo, con un’impennata della crescita che nell’ultimo ventennio ha toccato l’8% (+15ppb/anno nel 2021). L’aumento medio della temperatura, perciò, è stato pari a circa 0,5° C ed è – chiaramente – andato di pari passo con frequenza ed intensità delle ondate di calore. L’incremento di anidride carbonica e l’aumento delle temperature nel Mediterraneo, spiega Alcide Di Sarra del laboratorio di Enea osservazioni e misure per l’ambiente e il clima, “preoccupa anche a causa della possibile riduzione della funzione di assorbimento della C02 in eccesso, normalmente svolta da oceano e vegetazione”.
D’altra parte il metano – osserva il ricercatore Enea Damiano Sferlazzo – è un sorvegliato speciale “per il suo ruolo importantissimo nel raggiungere gli obiettivi dei protocolli internazionali sul clima, tenuto conto che ha una capacità di riscaldamento da 30 a 80 volte maggiore rispetto alla C02”. Il territorio di Lampedusa ha un ruolo strategico (per le ridotte dimensioni dell’isola, l’assenza di rilievi, la posizione geografica) nel monitoraggio del comparto marino, ma anche di quello atmosferico e terrestre. Altri dati da tenere in conto, che confermano purtroppo le tendendenze negative fin qui emerse, sono quelli registrati dall’osservatorio oceanograficho di Enea, una boa hi-tec che consente lo studio delle proprietà chimico-fisiche delle acque situata a 5 km dalla costa lampedusana. Una vera e propria sentinella del clima, che testimonia il costante aumento della temperatura media del mare. Questa, nell’ultimo secolo, è cresciuta di oltre 1.5°, molto di più della media globale. Ne consegue anche la maggiore frequenza e durata delle ondate di calore, che nel 2022 hanno portato la temperatura delle acque del Mediterraneo a toccare i 30°.
Cifre da “capogiro”, che mettono a rischio la biodiversità, modificano gli habitat di varie specie e influiscono su attività di fondamentale importanza in quest’area, come pesca ed acquicoltura oltre – ovviamente – ad avere un peso rilevante su condizioni atmosferiche ed evaporazione. Il quadro d’insieme, dunque, restituisce una situazione non certo rosea, soprattutto perché – come ha ricordato il climatologo Massimiliano Fazzini al QdS – “il bacino del Mediterraneo rappresenta l’area densamente popolata più a rischio del mondo”. Un’area intorno alla quale vivono 500 milioni di persone e il cui ambiente fisico è più vulnerabile. Si capisce, dunque, quanto sia importante l’attività di studio e di analisi dei fenomeni in corso, sia per farsi trovare pronti che per elaborare strategie di intervento.
“Questi dati – commenta a tal proposito la ricercatrice Enea Tatiana Di Iorio – mostrano la necessità d intervenire rapidamente per implementare politiche di riduzione delle emissioni di CO2 ma anche degli altri gas ad effetto serra di produzione antropica come il metano, in coerenza con gli obiettivi europei della neutralità climatica entro il 2050. Una sfida essenziale- conclude – per il futuro dell’Europa e del pianeta, e in particolare del Mediterraneo, una delle aree più sensibili ai cambiamenti climatici dove gli impatti sull’ambiente possono essere critici e che oggi più che mai è a rischio”.