PALERMO – C’è grande attesa tra gli appassionati siciliani del jazz per il tour “We Wonder” del Fabrizio Bosso Quartet. Sono tre le date previste ad aprile: il 12 al Teatro Ambasciatori di Catania, il 13 al Teatro Pirandello di Agrigento e il 14 al Teatro Savio di Palermo. Sul palco si esibiranno il torinese Fabrizio Bosso, che ha fatto del suo amore per la tromba e la musica una professione già dall’adolescenza, insieme a Julian Oliver Mazzariello al pianoforte, Jacopo Ferrazza al basso e al contrabbasso e Nicola Angelucci alla batteria.
Al centro del tour che fa tappa nella nostra Isola, un omaggio al genio di Stevie Wonder. Il quartetto, infatti, ha deciso di dare una nuova forma alle sue intramontabili ballad, scavando in un repertorio che parte dagli anni Settanta per arrivare al 2004, passando da titoli noti in tutto il mondo come “Another star”, “Isn’t she lovely”, “My cherie amour”, ma anche “Sir Duke” e “Moon blue”. Si tratta solo di alcuni dei titoli più significativi che i musicisti hanno deciso di rileggere in chiave jazz, tutto raccolto nel nuovo album “We Wonder” uscito lo scorso ottobre per Warner Music. Abbiamo fatto quattro chiacchere con l’artista torinese di fama internazionale Fabrizio Bosso per saperne di più di questo tour che è tutto un progetto e di questa vita tra note e palchi di tutto il mondo.
Come è nata la passione per la musica? Quando ha capito che non era solo una semplice passione ma il lavoro di una vita?
“Ho iniziato a suonare a cinque anni, un po’ per imitazione nei confronti di mio padre che era un trombettista anche se non professionista, quando ho iniziato a vederlo esibirsi nelle bande. Dopo averne distrutte un bel po’ di plastica, a cinque anni mi hanno regalato la mia prima tromba vera. A 15 anni mi sono diplomato, a 16 anni ho iniziato a fare i primi concerti cominciando anche a guadagnare qualcosina ma anche prima mentre ero in conservatorio, e ho capito che quella sarebbe stata la mia strada. Questo mi ha spinto a continuare a studiare e a suonare e a portare avanti quella che è la mia passione da sempre”.
Tra qualche settimana è atteso nella nostra Sicilia con ben tre date dal 12 al 14 aprile. Aspettative e speranze?
“Mi aspetto una bella risposta dal pubblico a cui ormai sono affezionato perché è già da diversi anni che mi esibisco in Sicilia e mi sono sempre trovato benissimo. Sono felice anche di potermi esibire con questo gruppo composto da Julian Oliver Mazzariello, Jacopo Ferrazza e Nicola Angelucci perché li definirei un po’ come la mia ‘Ferrari’. È una squadra con la quale riesco sempre a tirare fuori il meglio di me perché c’è una grande sintonia non solo professionale ma anche dal punto di vista umano, ci stimiamo molto e stare insieme anche nel quotidiano ci permette di crescere. Quando saliamo sul palco riusciamo ad esprimerci al meglio. Inoltre siamo molto entusiasti di portare avanti e presentare al pubblico questo nuovo progetto incentrato su un colosso della musica come Stevie Wonder. Per noi è un onore e una grande responsabilità confrontarci con un genio della musica come lui. Il nostro lavoro è stato quello di portare la sua musica nel nostro mondo, ovvero quello del jazz, in quanto Wonder ha una conoscenza di tutti i linguaggi musicali che va dal soul e rhythm and blues, ma anche pop, funk, reggae e jazz da cui è riuscito a tirare fuori un linguaggio del tutto personale. La sua voce, il suo stile e la sua scrittura sono stati e continuano a essere un punto di riferimento per tantissimi musicisti. Ci stiamo divertendo moltissimo a confrontarci con la sua musica e a portare in giro questo nostro progetto anche perché vedere il pubblico che riconosce le canzoni che stiamo suonando in questa nuova versione e che in alcuni casi improvvisiamo, è una grande soddisfazione”.
Come costruite la scaletta delle vostre esibizioni?
“Il concerto io lo immagino sempre un po’ come il proseguimento delle nostre giornate che trascorriamo sempre insieme quando siamo in tour, un po’ come mangiare e viaggiare. Quando saliamo sul palco continuiamo semplicemente a comunicare tra di noi grazie ai nostri strumenti cercando di trasmettere le nostre emozioni e sensazioni al pubblico . E questo ci permette anche di poter improvvisare proprio grazie a questa nostra sintonia che riusciamo a far arrivare anche a chi ci ascolta”.
Se dovesse pensare alla sua carriera dall’inizio a oggi, qual è stata l’esibizione che ricorda con più emozione?
“È difficile individuarne una soltanto perché per me sono tutte importanti. In realtà uno degli episodi che ricordo con più emozione in assoluto non è stato un vero concerto. Qualche anno fa ci trovavamo in Africa per un tour e ci siamo imbattuti in una scuola nelle prossimità di Addis Abeba, in condizioni fatiscenti e fatta di baracche. Ci siamo fermati e abbiamo chiesto alla preside il permesso di poterci esibire, la quale era così felice della nostra proposta da mettersi a piangere. Abbiamo avuto così l’occasione di esibirci di fronte a circa 150 bambini dai 5 ai 15 anni circa, i quali ci guardavano estasiati in semicerchio perché probabilmente per loro era la prima volta in cui vedevano questa tipologia di strumenti e ascoltavano questo tipo di musica. È stata un’emozione fortissima in cui eravamo anche molto in ansia perché non sapevamo cosa si potessero aspettare da noi ma siamo stati felicissimi di vederli così coinvolti e attenti. La mia carriera, in generale, mi ha permesso più volte di vivere grandi emozioni e di sentirmi sempre molto coinvolto da chi mi ascoltava durante le mie esibizioni”.
Un consiglio al volo che si sente di dare ai giovani che vorrebbero approcciarsi a questa professione?
“Ai giovani che vogliono intraprendere questo percorso il mio consiglio è innanzitutto quello di essere curiosi e di non focalizzarsi verso una sola direzione, studiando e conoscendo artisti e musicisti anche molto diversi tra di loro che si sperimentano in generi differenti, suonando gli strumenti più disparati. Anche il rapporto con il proprio strumento è molto importante e va compreso e gestito. Ci sono giorni in cui amo il la mia tromba, altre in cui la odio perché non riesco a esprimere ciò che avevo in mente. La musica è una scommessa e ogni giorno in cui inizi a suonare non sai mai che strada prenderà la tua musica, non sempre è certo che sia quella che avevi immaginato, anche quando ti esibisci in concerto. Fare questo mestiere a livello professionale vuol dire capire quali sono i propri standard e i propri limiti personali per essere certo che, anche in un momento di grande stanchezza per i continui viaggi o di malessere fisico, quando ti esibisci davanti al tuo pubblico potrai garantire loro almeno quel livello senza mai scendere al di sotto di esso. Senza dimenticare che questo non è soltanto un lavoro ma un grandissimo piacere che riesce sempre a coinvolgerti e regalarti grandi soddisfazioni”.