Chi dice donna dice tanto

Famiglia, scuola e istituzioni: non una di meno per porre fine alla drammatica strage di donne

ROMA – “Amore criminale”. Partiamo da questo: mischiare l’amore ai reati, oltre a essere cosa più inquietante che romantica, è una cosa socialmente inaccettabile. Il concetto non è troppo di moda in Italia, dove si fa ancora fatica a riconoscere che la violenza di genere non è solo un crimine (ormai) riconosciuto dalle leggi dello Stato e dalla giustizia, ma è una questione culturale e sociale, intrinseca ai rapporti di potere che nel nostro Paese si definiscono e si palesano a lavoro come in università o su un mezzo di trasporto pubblico.

Lunedì prossimo, 25 novembre, sarà la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne ma la strada da percorrere ancora è tanta, anche troppa. Nei dati pubblicati due giorni fa dall’Istat, nel report “Vittime di omicidio” si fa la conta delle donne uccise: il 35% di vittime in Italia nel 2023 riguarda il genere femminile e basti pensare che negli anni Novanta l’incidenza era appena dell’11%. Sempre l’Istat dice che, tra questi, i femminicidi stimati nel 2023 sono stati 96 (su 117 donne in totale, cioè l’82,05%): considerato che in tutto l’anno gli omicidi sono stati 334, viene presto facile capire che quasi un terzo tra questi sono stati crimini di genere (ben il 28,74%). Il 94,3% delle donne italiane è vittima di italiani e 63 di queste donne sono state uccise da partner o ex partner: tutti uomini i colpevoli, eccetto due casi. La distribuzione delle uccisioni non segue una precisa geografia, vede di anno in anno balzi in su e in giù per tutta la Penisola. Di certo c’è, guardando a casa nostra, che l’Istat riconosce alla Sicilia una diminuzione del fenomeno rispetto al periodo 2012-2014 ma spiccano Enna e Catania che hanno tenuto fino al 2023 la terribile “medaglia” della violenza omicida contro il genere femminile.

Liti e futili motivi il primo movente dei femminicidi

Nel 2023 “liti, futili motivi, rancori personali” sono il primo movente per femminicidio (31,6%) e poco meno della metà di queste liti (il 40,1%) va riferita a un contesto familiare affettivo. Tra le motivazioni i “motivi passionali” che riguardano il 27,4% che diventa un 60% se si considerano le vittime femminili di 35-44 anni. I motivi classificati come derivanti da disturbi psichiatrici dell’autore sono stati la causa del 14,3% per le vittime donne e raggiunge il 65% circa per le donne sopra i 55 anni. Nel 2023 il tasso di omicidi di donne uccise dai loro partner è più elevato nelle Isole (0,28 per 100mila donne residenti nelle Isole) e nel Nord-est (0,24) e le uccisioni per mano dei parenti sono più elevate tra le donne residenti al Sud (0,15) enelle Isole (0,12 per 100mila donne isolane).

Anche l’Osservatorio nazionale di Non una di Meno, il movimento di lotta transfemminista nato in America Latina e divampato in tutto il mondo (Europa inclusa), fornisce dei numeri aggiornati all’8 novembre 2024 sulla situazione: 89 i femminicidi accertati e 44 quelli tentati; la Sicilia è al terzo posto per incidenza con il 9,6%. Secondo Nudm, tra le persone uccise, la vittima più giovane aveva 13 anni, la più anziana 89. La vittima aveva un’età media di 57 anni. Inoltre, si contano almeno dieci casi con denunce o segnalazioni per violenza, stalking, persecuzione nei mesi precedenti, quattro le persone uccise erano sex worker e 14 persone uccise avevano una disabilità o una malattia grave, spesso cronica o degenerativa; nove i casi in cui figli minori hanno assistito al femminicidio, 43 figli minori che sono rimasti orfani in seguito al femminicidio della madre. Le coltellate sono state il metodo più usato dagli uomini (39,6%), seguite dall’arma da fuoco 22,9%.

Una guerra culturale che ancora è tutta da vincere

Poco scampo all’immaginazione: sono dati freddi, come la mente che uccide una donna in quanto donna, che ci impongono di fare la conta tra quelle che sono, a tutti gli effetti, vittime di una guerra culturale che ancora è tutta da vincere.

Il 25 novembre è una ricorrenza istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, tramite la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999 e questa data segna anche l’inizio dei “16 giorni di attivismo sulla violenza di genere” che precedono la Giornata mondiale dei diritti umani il 10 dicembre di ogni anno, promossi nel 1991 dal Center for Women’s Global Leadership (CWGL) e sostenuti dalle Nazioni Unite, per sottolineare che la negazione della violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani.

E a poco più di un anno dalla barbara uccisione di Giulia Cecchettin per mano del suo ex fidanzato le parole di suo padre, durante la conferenza stampa di presentazione della Fondazione dedicata a Giulia, riecheggiano nel vuoto di chi non riesce ad assumerle come dovere morale: “La prevenzione è fondamentale nella lotta contro la violenza di genere e passa anche attraverso percorsi formativi dedicati alle persone che entrano in contatto con le donne che vivono situazioni di violenza per far nascere una società preparata a riconoscere ed affrontare la violenza di genere. Affrontare le dimensioni strutturali e culturali potenziando il ruolo educativo di famiglie, scuole e agenzie formative, oltre a coinvolgere ambiti sportivi, lavorativi e legislativi”.