Stamattina Trecastagni, paesino di tremila anime alle pendici dell’Etna, si è svegliata con un senso di vuoto, di sconcerto.
Ieri sera, sul sagrato del santuario dei santi Alfio, Filadelfo e Cirino, dove ogni anno in maggio si svolge una festa che richiama decine di migliaia di persone, soltanto in centonovanta, tutti muniti di Green pass, hanno potuto assistere ai funerali di Vanessa Zappalà.
Gli altri li hanno seguiti sulla diretta Facebook sul sito del Comune.
Aveva appena 26 anni, Vanessa, lavorava in una panetteria del suo paese e sognava un futuro da cantante. Ma i suoi sogni sono stati spezzati da sette colpi di pistola alla testa, sparati di notte, mentre passeggiava con alcuni amici sul lungomare di Acitrezza, dall’ex fidanzato, Antonino Sciuto, 38 anni, che si è poi suicidato impiccandosi.
L’uscita della bara bianca ornata di girasoli e rose bianche e portata a spalla ha chiuso la giornata di lutto cittadino proclamata dal sindaco di Trecastagni, Giuseppe Messina, che ha ringraziato Prefettura e Questura per aver autorizzato i funerali all’aperto.
“Ognuno di noi – aveva detto nei giorni scorsi, durante una manifestazione davanti alla panchina rossa di piazza Aldo Moro dedicata a Giordana Distefano- è stato padre, madre, fratello, sorella di Vanessa, ragazza apprezzata e benvoluta da tutti”.
La cerimonia funebre è stata officiata dal vicario dell’Arcidiocesi di Catania, monsignor Salvatore Genchi. Ma prima della funzione il parroco del Santuario, don Orazio Greco, aveva detto “saremmo voluti essere altrove e non in questa piazza a dare l’estremo saluto a Vanessa: avremmo voluto continuare a vederla sorridente”.
Il sorriso, la gentilezza, erano le caratteristiche di Vanessa. Come emerge anche dal ricordo pubblicato sul proprio profilo Facebook dallo scrittore Sergio Mangiameli, che vive a Trecastagni, e che vi proponiamo di seguito.
“VANESSA 0,70” era stampato sulla fascetta adesiva del sacchetto bianco, in cui dentro c’era il pane. Guardavo i suoi tratti puliti, nuovi, pelle tesa di vita piena al debutto.
Mi sembrava perfetta, Vanessa, e la immaginavo essenziale, come il pane che mi dava e che avrei pagato alla cassa: 0,70 euro.
Vanessa è stata uccisa dal suo ex ragazzo, un assassino che le ha sparato un solo proiettile dal costo circa dieci volte inferiore a un pezzo di pane. Tanto per questo essere immondo è valsa la vita di Vanessa. E non c’è ritorno. Niente potrà succedere che io possa tornare a leggere “VANESSA 0,70” al panificio Tomarchio di Trecastagni.
Il proiettile non tornerà indietro dal corpo di lei alla canna della pistola dell’immondo – dove immondo sta per immondizia, non degno di stare nel mondo degli esseri umani. Perché chi uccide diventa immondo, e non occorre sporcarsi della sua morte per avere Vanessa indietro. Chè dalla morte non c’è ritorno per nessuno, per chi la procura e per chi la subisce.
Se non ci può essere nessun ritorno per Vanessa, voglio sperare che ci sia una salvezza per Cristina, per Giusy, per Chiara, per tutte le altre ragazze e donne che vogliano dire di no. Voglio che tutti gli uomini camminino in silenzio per le strade di Trecastagni.
Voglio che a scuola si continui a insegnare l’uguaglianza di genere, il diritto di espressione, la libertà di esercitare la propria volontà sempre, e la condanna a qualsiasi forma di prevaricazione e di violenza.
Voglio il rispetto per le donne fin da bambini. Voglio la responsabilità di azione di tutti noi nei luoghi quotidiani verso le donne, intervenendo come fosse nostra figlia se dovesse occorrere. Voglio avere la nausea di cultura, di contagi alti di pensiero come fossero panini. Voglio uno Stato che non sprechi tempo nelle misure di tutela, una legge più adatta, strumenti più incisivi. Voglio che nessuna donna abbia paura di dire no.
E voglio che lo insegni un uomo che ha perso la sua donna e che ama ancora.
Ciao Vanessa. Oggi paghiamo tutti alla cassa.