Valentina Salamone è stata barbaramente uccisa a 19 anni dall’ex fidanzato in una villetta di Adrano (Catania), il 24 luglio 2010. I tanti errori iniziali da parte degli inquirenti e i depistaggi di Nicola Mancuso non hanno consentito l’immediata condanna dell’assassino, che è arrivata invece 10 anni dopo e che è passata in giudicato nel gennaio del 2022. Adesso però si cerca ancora il suo complice, “Ignoto 1”, del quale si è rintracciato il Dna. L’intervista al papà, Nino Salamone, che chiede che per la figlia si faccia quanto è stato fatto per Yara Gambirasio.
Valentina Salamone era una ragazza giovane, solare e di bell’aspetto. Amatissima da amici e parenti, per mamma e papà era la gioia più grande, rappresentando l’ultima arrivata.
Aveva conosciuto Nicola Mancuso molto prima di quel tragico 24 luglio. E con lui aveva iniziato una relazione che si era da poco conclusa.
Mancuso aveva circa 10 anni in più di lei, una moglie e tre figli. La loro relazione “clandestina” era finita quando la moglie di lui l’aveva scoperta e aveva “invitato” entrambi a troncarla.
Ma in quella sera di luglio i due si sono rivisti in occasione di una festa in una villa. Stando al racconto del papà, quella sera sarebbe girata molta droga. Droga che Valentina non solo ha rifiutato, ma che ha buttato per evitare che potesse essere propinata alle sue amiche.
Non è certo cos’abbia scatenato l’ira di Mancuso, se la confessione di una presunta gravidanza di Valentina o la droga buttata via. Quel che è certo è che Nicola Mancuso l’abbia strangolata con un cappio, inscenando poi un finto suicidio della giovane, ritrovata appesa a un albero.
Sin da subito i familiari hanno capito che non si trattasse di suicidio. Ma così gli inquirenti inizialmente archiviarono il caso. Commettendo dei banali ma gravissimi errori nelle primissime indagini, come il mancato sequestro della villetta, il permesso dato agli “amici” di Valentina di ripulire le tracce di sangue nelle ore a seguire, i mancati approfondimenti sullo strano giro di telefonate avvenuto quella notte tra diversi presenti alla festa. Perché tutti si chiamarono più volte tra loro, ma nessuno chiamò mai Valentina, il ché fa presumere che fossero a conoscenza della sua morte. I tabulati telefonici, però, non potranno più essere vagliati.
E poi c’è la borsetta della ragazza, mai sequestrata dagli inquirenti, riconsegnata ai genitori da un’amica e con dei tranquillanti dentro che non appartenevano certamente a Valentina, come l’autopsia ha ben dimostrato.
A rendere ancor più triste il quadro, le dichiarazioni di alcuni “amici” che dipingevano la ragazza come una consumatrice di droga, una giovane intenta a trovare un escamotage per fuggire da una famiglia che le stava fin troppo stretta. Entrambe le affermazioni si sono rivelate false a seguito di indagini più approfondite.
Dopo la morte di Valentina, per i suoi familiari non è stato soltanto difficile la vita, ma persino la sopravvivenza. Basti pensare che il papà, Nino Salamone, abbia subìto anche un pesante intervento chirurgico al cuore.
“Prima dell’omicidio di mia figlia non sapevamo nemmeno cosa significasse avere a che fare con le forze dell’ordine. Non abbiamo mai ricevuto nemmeno una semplice multa per violazione del codice della strada. Per fortuna siamo riusciti a far riaprire le indagini e con i Ris ricostruire parzialmente la verità”, racconta il padre di Valentina, Nino Salamone.
Ma l’amarezza e il dolore sono ancora troppo forti, perché c’è ancora un colpevole mai identificato e ancora a piede libero: “Per condannare all’ergastolo Nicola Mancuso, che sconta anche una pena di 14 anni per traffico di droga, ci sono voluti davvero troppi anni. Assieme al suo Dna, sotto gli scarponi di mia figlia, è stato trovato un secondo Dna al quale non è ancora stato dato un nome – spiega Salamone -. Adesso mi aspetto che si faccia, seppure in ritardo, quanto è stato fatto per Yara Gambirasio. Perché non esistono vittime di serie A e vittime di serie B“.
Il papà della giovane è fermamente convinto che i presenti alla festa sappiano tutto e spera che dopo quasi 12 anni si facciano avanti: “Hanno tutti dato la stessa versione esatta, era evidente che fosse studiata a tavolino – aggiunge -. Loro sanno tutto e se non parleranno e non chiederanno perdono, andranno all’inferno. Senza considerare tutte le denunce che cadranno su di loro, per tutte le false dichiarazioni che hanno fornito agli inquirenti e il fango buttato addosso a mia figlia, quando non poteva più difendersi”.