Economia

Fisco, la riforma cancella le mini imposte e punta alla “certezza del diritto”

ROMA – È stata approvata dal Consiglio del Ministri nel pomeriggio del 5 ottobre scorso, il disegno di legge contenente la delega per la riforma tributaria. Un adempimento, quest’ultimo, che rappresenta una precisa condizione imposta dall’Europa nell’ambito dal Pnrr.

La bozza di delega, nonostante l’astensione della Lega, è stata formulata dal Governo tenendo conto del documento elaborato dalle Commissioni Finanze di Camera e Senato dello scorso 30 giugno 2021. è un disegno di legge composto da dieci articoli e rappresenta una sorta di insieme di linee guida che il Parlamento, dopo la sua approvazione, fornirà al Governo italiano per la realizzazione della tanto attesa riforma tributaria.
Sulla base della delega ricevuta, infatti, il Governo emanerà i cosìddetti “decreti delegati”, che avranno la forma di decreti legislativi.

Saranno quindi i decreti legislativi, i quali secondo lo stesso Cdm dovranno essere emanati entro 18 mesi (tre anni per i testi unici e per gli eventuali correttivi), che conterranno la disposizioni di riforma vere e proprie, disposizioni le quali, affidate per la stesura ad una commissione di esperti, dovranno evidentemente essere conformi alle direttive che il Parlamento, dopo il normale iter parlamentare del disegno di legge approvato il 5 ottobre dal Cdm, si appresta a fornire.
Molte le promesse e molte le aspettative.

Le riforma, che si prefigge anche la razionalizzazione delle tantissime disposizioni tributarie oggi esistenti (per semplificarle assicurando finalmente una sufficiente “certezza del diritto” oggi mancante), spazierà dalle imposte sui redditi, all’Irap, alla riscossione, all’Iva, per giungere, probabilmente fra quattro anni, alla revisione del catasto.

La semplificazione delle norme, comunque, avverrà attraverso l’abolizione delle micro imposte oggi esistenti (quelle che sostano più di quanto rendono in termini di gettito), nonché attraverso la predisposizione di “Testi Unici”, quei testi che i contribuenti onesti attendono da quasi cinquant’anni, consapevoli del rischio di potere oggi inciampare in violazioni solo a causa della pessima formulazione delle leggi tributarie, della loro enorme quantità e delle difficoltà di applicazione delle stesse. Il tutto in spregio delle disposizioni dello Statuto dei diritti del contribuente, della tanto sbandierata tax compliance e con l’aumento vertiginoso del contenzioso tributario.

Previsto anche l’aggiornamento del linguaggio normativo anche al fine di adeguarlo a quello degli atti dell’Ue.
Solo un piccolo accenno (articolo 9) alla necessità di rivedere le norme, anche quelle processuali, del contenzioso tributario, un intervento, quest’ultimo, che ormai da tutti è ritenuto assolutamente urgente. Eppure il 30 giugno scorso un’apposita Commissione ha formulato consistenti proposte di modifica.

La parola d’ordine, comunque, è che la riforma non dovrà comportare un aumento della pressione fiscale.
Le risorse finanziarie dovranno essere trovate nei bilanci dello Stato, principalmente attraverso una ferma lotta all’evasione fiscale, utilizzando comunque un “tesoretto” di 2 miliardi di euro già stanziato per il 2022 e di un mliardo per il 2023, confidando comunque nel mantenimento dell’attuale trend di crescita economica del nostro Paese. In ogni caso, I decreti legislativi che recano maggiori oneri dovranno sempre avere la necessaria copertura finanziaria.

Sula tassazione “personale” la riforma dovrà riguardare sia i redditi derivante dall’impiego di capitali, con la previsione di una sola aliquota come imposta sostitutiva, sia gli altri redditi, con una revisione delle aliquote Irpef, principalmente per le fasce medie e, probabilmente, con la previsione di soli tre scaglioni.

Sulla tassazione delle imprese, è prevista la revisione dell’Ires, puntando anche all’abolizione dell’Irap ed avvicinando il risultato fiscale dell’impresa a quello civilistico, non mancando di rivedere il sistema fiscale degli ammortamenti.
È prevista anche la revisione dell’attuale sistema delle detrazioni e delle deduzioni.

In materia di “riscossione”, la bozza di legge delega punta principalmente a rendere più efficiente il sistema di recupero dei crediti erariali, semplificando le procedure, modificando il sistema di remunerazione dell’agente della riscossione sostituendo “l’aggio” con riduzioni di costi ed altre misure alternative, possibilmente accorpando l’attuale Ente di Riscossione (Ader-Agenzia delle Entrate Riscossione) nella stessa Agenzia delle Entrate.

Anche in materia di Iva è prevista una piccola riforma, con una rivisitazione delle aliquote applicabili ai beni di largo consumo agevolabili, tenendo conto, tuttavia, delle direttive europee in merito alle riduzioni Iva applicabili in ambito comunitario.

Ed infine, non certo per sottovalutare il problema, che forse è quello più importante e dibattuto, la riforma del catasto. Un punto, quest’ultimo, che non solo risulta quello sul quale si muove la maggiore quantità delle critiche, ma che, per la verità, così come è formulato nell’articolo 7 del disegno di legge in commento, non appare abbastanza chiaro, specialmente nella parte che riguarda l’attribuzione di un “valore patrimoniale”.

L’obiettivo della legge delega è quello di individuare, attraverso un censimento degli immobili, quelli non censiti (gli “immobili fantasma”) oppure quelli che non rispettano la reale consistenza, di accertare la relativa effettiva destinazione d’uso e la categoria catastale attribuita, nonché di individuare i terreni edificabili accatastati come agricoli e, più in generale, scovare gli immobili abusivi. E ciò utilizzando nuovi strumenti e moduli organizzativi che facilitino la condivisione dei dati e dei documenti, in via telematica, tra l’Agenzia delle entrate e i competenti uffici.

Solo a partire dal 1^ gennaio 2026, comunque, dovrebbe realizzarsi la parte più scottante della riforma, perché da quella data sarà possibile modificare le rendite catastali, attribuendo a ciascuna unità immobiliare anche un valore patrimoniale ed una rendita attualizzata in base ai valori di mercato.

È anche previsto l’aggiornamento periodico di questi valori patrimoniali e delle rendite delle unità immobiliari urbane, in relazione alla modificazione delle condizioni del mercato, tenendo conto anche delle unità immobiliari di interesse storico o artistico, alle quali vanno riservate adeguate riduzioni del valore patrimoniale per tenere conto dei particolari e più gravosi oneri di manutenzione e conservazione . Sempre secondo lo schema di delega predisposta dal Governo, è previsto che le informazioni rilevate secondo i principi precedentemente citati non siano utilizzate per la determinazione della base imponibile dei tributi la cui applicazione si fonda sulle risultanze catastali.

Per la verità Draghi ha detto che “il contribuente non se ne accorgerà nemmeno” per sottolineare che questa riforma non comporterà alcun aggravio di tributi sulla casa. Si tratterà di un’operazione di trasparenza e basta.

È difficile pensare, tuttavia, che, quantomeno dal 2026, non ci sarà alcun aumento dei tributi (quelli che hanno base imponibile legata alle rendite catastali, come l’Imu, l’Irpef e l’imposta di registro).

D’altronde la trasparenza di cui parla Draghi vuol dire pure evitare che in un prossimo futuro possano accadere storture come quelle che attualmente si verificano quando si utilizza una rendita legata ad una classificazione catastale di molti anni fa che, in positivo o in negativo, a causa delle effettive dimensioni dell’immobile oppure per il suo stato di conservazione reale, non corrisponde più a quella che dovrebbe essere oggi.

Non dimentichiamo, peraltro, che storture di questo genere non generano solo evasione. Possono generare, infatti, anche ingiustizie, come quando si impedisce ad un contribuente di fruire di agevolazioni perché in possesso di un Isee troppo alto in quanto “gonfiato” da un immobile con rendita catastale eccessiva perché non corrispondente a quella attuale o, viceversa, quando si concede un’agevolazione ad un contribuente che presenta un Isee con un valore che tiene conto di una rendita catastale assolutamente bassa e non corrispondente a quella (più alta) che in realtà gli dovrebbe essere attribuita.

Comunque, non ci resta che aspettare, sperando che dopo cinquant’anni di attesa “la montagna non partorisca il topolino” e che l’esigenza di chiarezza, auspicata da tantissimi contribuenti onesti non venga tradita.