ROMA – Dall’1 gennaio 2023, con i commi da 54 a 57 dell’articolo 1 della Legge 197 del 29 dicembre 2022 (Legge di Bilancio per il 2023), sono state apportate ulteriori ed importanti modifiche al regime forfettario.
Non solo elevando ad 85.000 Euro la soglia per l’applicazione del regime (che fino all’anno scorso era di 65.000 Euro), ma prevedendo pure che il regime forfettario (come è noto destinato solo alle persone fisiche che svolgono attività d’impresa, artisti e professionisti, ossia quelli con partita Iva), cessi immediatamente, ossia già nel corso dell’anno, in caso di compensi o ricavi superiori ai 100.000 euro.
In questo ultimo caso si transiterà nel regime “normale”, e l’Iva (con fatturazione elettronica) sarà dovuta sin dalla prima operazione che comporta il superamento del limite previsto.
Coloro i quali nel corso dell’anno superano gli 85.000 euro ma non raggiungono i 100.000, in quell’anno restano nel regime forfettario con l’obbligo di uscirne solo dall’anno dopo.
Ma il vero problema delle norme di cui stiamo parlando non è tanto la soglia per rientrare nella flat tax. Il problema è che continuano ad esserci molti degli originari “paletti” che erano stati previsti sin dall’introduzione originaria della norma, ossia la Legge n.190 del 23 dicembre 2014.
Infatti, dopo alcune importanti concessioni, proprio come il “gambero” il nostro Legislatore, spinto evidentemente da esigenze di gettito, a partire dal 1^ gennaio 2020, con la Legge di Bilancio 2020 (Legge n. 160 del 27/12/2019), con il solito articolo 1, comma 690) ha fatto dei passi indietro restringendo nuovamente il campo di applicazione del regime forfettario (quello previsto dalla prima citata legge 190 del 2014), reintroducendo due cause delle cause ostative più importanti, ossia quelle riguardanti
a) La percezione di redditi di lavoro dipendente ed assimilati d’importo superiore a 30.000 Euro (nuovo comma 57 lettera d-ter);
b) Il sostenimento di spese per personale dipendente d’importo superiore a 20.000 Euro.
È chiaro che in questo modo, la volontà di molti cittadini che, dopo il pensionamento, hanno la possibilità e la voglia di rendersi ancora utili al Paese ed agli altri cittadini, viene in questo modo pesantemente sacrificata.
Chi scrive capisce bene che qualunque norma è sempre frutto di importati compromessi tra le diverse parti politiche e che la norma definitiva deve essere compatibile con le risorse in bilancio, ma spesso il dibattito parlamentare non permette di mettere a fuoco cose molto importanti che, probabilmente, se ben conosciute ed a tutti chiarite, potrebbero non solo essere più convenienti per i cittadini, ma anche per la stessa Amministrazione dello Stato.
Parlando, infatti, del regime forfettario (col pagamento di una tassa omnicomprensiva del 15%), non si è mai fatta troppa attenzione al fatto che, con una semplificazione del genere, – probabilmente – il gettito, anziché diminuire, così come temuto in sede parlamentare, aumenta.
Sono molti i contribuenti che preferiscono “rischiare” le sanzioni nel caso di un controllo, piuttosto che rischiare altre sanzioni che potrebbero essere applicate per violazioni dipendenti non dalla volontà di evadere, ma solo per le difficoltà di adempiere correttamente ai numerosissimi obblighi fiscali.
Potrebbero essere pure tanti gli “evasori incalliti” i quali, spinti dalla facilità di applicazione dei tributi e dalla modesta misura di quanto preteso dall’Erario, potrebbero “pentirsi”, avvicinandosi ai doveri fiscali previsti dalla legge.
Non si dimentichi mai un concetto molto importante, e cioè che la chiarezza delle norme e l’eliminazione di molti adempimenti tributari servono ad eliminare una vasta “zona grigia” che rappresenta il terreno di coltura nel quale prolificano non solo l’evasione ma anche la corruzione ed il malaffare più in generale.
Ecco quindi, che una maggiore “apertura” verso la semplificazione dei contribuenti under 85.000 Euro (sarebbe stato meglio 100.000 Euro, un limite prima introdotto e poi soppresso prima di entrare in vigore), sarebbe stata, non certo il “toccasana”, ma certamente un punto importantissimo ai fini di quello che rappresenta, quanto meno a detta di moltissimi (non solo gli addetti ai lavori privati ma anche delle Istituzioni fiscali), quella che viene denominata “tax compliance”.
Ricordiamo pure che tutti questi problemi incidono pesantemente sulla fiducia dei cittadini verso lo Stato e, pertanto, li inducono ad essere diffidenti verso il fisco ed a tentare di difendersi (certamente in modo illecito e deplorevole) anche attraverso l’evasione. Le stime più attendibili dell’evasione fiscale in Italia lo dimostrano.
Un comportamento, quest’ultimo, evidentemente sbagliato, ma che prima ancora di essere semplicemente combattuto con le armi delle sanzioni, deve essere fatto oggetto di riflessione e di sereno dibattito sociale, facendo capire a tutti che il pagamento dei tributi, con norme chiare e semplici da applicare, è, insieme alla riduzione della spesa pubblica – ed evidentemente all’azzeramento di tutti gli sprechi e gli abusi -, uno dei fattori che sicuramente potrà portare il Paese verso una situazione economica e, quindi anche sociale, diversa da quella che stiamo attualmente vivendo tutti.
Queste le principali novità della legge di bilancio in materia di regime forfettario. Giova ricordare, a margine, che la stessa legge di Bilancio ha previsto la “Flat tax incrementale”, applicabile solo per l’anno 2023, con un’imposta sostitutiva del 15% sugli incrementi di reddito per le persone fisiche titolari di reddito d’impresa e/o di lavoro autonomo che non applicano il regime forfettario, calcolata su una base imponibile (solo fino a 40.000 euro), pari alla differenza tra il reddito d’impresa e di lavoro autonomo determinato nel 2023 e il reddito d’impresa e di lavoro autonomo, d’importo più elevato, dichiarato negli anni dal 2020 al 2022, decurtata di un importo pari al 5 per cento di quest’ultimo ammontare.