Sono reati ostativi quei delitti che non consentono a chi li ha commessi di avvalersi dei benefici penitenziari previsti nella legge 354 del 1975 sull’ordinamento penitenziario (lavoro all’esterno e, prima della sent. 253/2019 anche del permesso premio), nonché delle misure alternative alla detenzione e della liberazione condizionale, qualora egli rifiuti di collaborare con la giustizia per l’accertamento dei fatti e la cattura degli autori dei reati. Nei reati ostativi elencati all’art. 4-bis, primo comma, della l. 354, tra i quali vanno ricordati i c.d. “reati di mafia”, la mancata collaborazione da parte dei loro autori viene ritenuta mantenimento dei rapporti con l’organizzazione criminale e pertanto indice di una persistente pericolosità sociale che preclude l’accesso ai benefici.
La Corte costituzionale con la sent. n. 253/2019 ha dichiarato incostituzionale il divieto di concessione di permessi premio ai detenuti per reati ostativi non collaboranti ritenendo che la presunzione “assoluta”, cioè non suscettibile di prova contraria, di pericolosità che impedisce tale concessione, potesse invece essere superata a seguito di accertamenti effettuati dagli organi penitenziari, giudiziari e di polizia attestanti l’interruzione, anche per il futuro, di ogni loro legame con le organizzazioni criminali.
Nell’ordinanza n. 97/2021 la Corte, su impulso della Cassazione, ha giudicato incostituzionale l’esclusione dalla liberazione condizionale – che consente anche al condannato all’ergastolo che abbia seguito un percorso di recupero e mostri segni di sicuro ravvedimento di lasciare il carcere dopo 26 anni di reclusione – dei condannati all’ergastolo per reati di mafia che non collaborano, il c.d. “ergastolo ostativo”. Per essere compatibile con l’art. 27 Cost. che richiede una pena non contraria al senso di umanità e volta “alla rieducazione del condannato”, l’ergastolo deve potere, a certe condizioni, avere fine.
Anche la Corte europea dei Diritti dell’Uomo nella decisione “Viola c. Italia” aveva ritenuto l’ergastolo ostativo contrario all’art. 3 della Convenzione Edu che vieta i “trattamenti inumani o degradanti” proprio perché pena senza fine. In quell’occasione la Corte europea aveva rilevato che, come la collaborazione non è necessariamente sinonimo di ravvedimento potendo essere dettata da motivazioni puramente utilitaristiche così, simmetricamente, la mancata collaborazione di colui che invece ha sinceramente chiuso con il suo passato criminoso può essere dettata dalla paura di ritorsioni per sé e per i propri famigliari. L’avvenuto recupero del condannato va verificato altrimenti.
La Corte, accertata l’incostituzionalità dell’ergastolo ostativo ai condannati per mafia, aveva peraltro rinviato per ben due volte la sua decisione per dar modo al legislatore di intervenire sull’intera disciplina dei reati ostativi, ritenendo che una sua pronuncia “demolitoria” della sola norma sull’ergastolo per i condannati per mafia avrebbe creato lacune, disparità di trattamento tra detenuti e rischi per la sicurezza pubblica.
Il nuovo Governo, nel suo primo decreto-legge ha previsto che i detenuti per reati ostativi non collaboranti possano fruire dei benefici penitenziari e anche della liberazione condizionale, a seguito di indagini approfondite circa il loro effettivo ravvedimento e a condizioni molto severe. La Corte ha quindi “restituito gli atti “alla Cassazione perché valuti se le nuove norme, suscettibili peraltro di essere modificate in sede di conversione del decreto -legge, conservino profili di incostituzionalità. In tal caso la questione dovrà esserle di nuovo rimessa.
Giovanni Cattarino
già Consigliere della Corte costituzionale e Capo Ufficio Stampa