PALERMO – In Sicilia la formazione non è una priorità. Al di fuori del tradizionale percorso di studi, che si concluda in università o si fermi in un istituto professionale, gli abitanti dell’Isola tendono a non continuare ad approfondire la propria preparazione e competenza, che sia in percorsi formali, che rilasciano una certificazione, che in percorsi non formali, che non rilasciano un titolo di studio o una qualifica professionale, ma sono comunque svolte in modo organizzato, con un orario, un luogo di svolgimento e un insegnante/tutor, o informali, che comprendono le attività di apprendimento intenzionali, ma non organizzate né strutturate. E se già i dati italiani sono deludenti, rispetto al resto dei paesi europei, quelli siciliani sono tra i più bassi della penisola.
Nell’Isola partecipa ad attività formali di formazione soltanto il 7,8% della popolazione, in linea con la media nazionale secondo quanto riporta l’Istat nel suo ultimo report sulla Formazione degli adulti”. Si scende rovinosamente con le attività non formali, a cui partecipano il 23,2% dei siciliani, contro il 34,1% del resto d’Italia. Anche le attività informali sembrano interessa poco ai siciliani, che vi partecipano nella misura del 58,4%, contro il 66,6% degli italiani.
L’indagine è stata svolta tra settembre 2022 e gennaio 2023, e ha rilevato le informazioni con riferimento ai dodici mesi precedenti l’intervista. La Sicilia mostra il suo peggio, rispetto a regioni come il Trentino Alto Adige, dove le persone che si impegnano in attività formative, formali o non formali, arrivano al 42,8%, o la Valle d’Aosta, al 39%; sempre in Trentino Alto Adige, la scelta di sviluppare le proprie competenze in attività informali, poi, riguarda il 71,7% della popolazione, e sale al 74% nella provincia autonoma di Bolzano.
Nonostante questi esempi virtuosi, il confronto internazionale illustra in maniera vivida come l’Italia sia in ritardo rispetto ai principali Paesi Ue: tra gli adulti di 25-64 anni, il tasso di partecipazione alle attività di formazione è pari a 35,7%, quasi 11 punti percentuali sotto il valore medio europeo, e colloca il nostro Paese al ventunesimo posto nella classifica dei paesi Ue27. Sono dunque lontani gli obiettivi del Consiglio europeo per il 2025 che, per i 25-64enni, fissano un minimo per il tasso di partecipazione alle attività di istruzione e formazione pari al 47%.
La stessa evidenza si osserva se si scende nel dettaglio delle attività formali, a cui partecipano il 4% della popolazione di 25-64 anni, contro il 6,3% della media europea, e non formali, frequentate dal 34,1% degli italiani e dal 44% degli europei. Anche il numero di ore dedicate complessivamente alla formazione è più basso in Italia rispetto alla media Ue27, 133 contro 144, per effetto del minor numero di ore mediamente dedicate all’istruzione formale, 405 rispetto a 512. Gli stessi dati possono essere analizzati anche facendo riferimento alle diverse fasce d’età.
L’Italia già nelle età giovanili, tra i 18 e i 24 anni, mostra un tasso di partecipazione in attività formali di 15,3 punti percentuali inferiore a quello medio europeo, mentre con la Germania la differenza sale a 27 punti. Anche il tasso di partecipazione ad attività non formali è inferiore a quello europeo di 5,4 punti e di 17,3 punti a quello tedesco. Con il crescere dell’età, il gap si riduce con l’aumentare dell’età; al contrario per quelle non formali, la forbice arriva a 10,9 punti tra i 35-54enni; in quella fascia d’età, in Italia solo 35 casi su 100 partecipano ad attività formative.