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Castorina: “Sanità pubblica e privata: garantire al cittadino la possibilità di scegliere”

Intervistato dal direttore, Carlo Alberto Tregua, Emilio Castorina, consigliere di amministrazione del Policlinico G. B. Morgagni e presidente della Sezione Sanità di Confindustria Catania, risponde alle domande del QdS.

Com’è andato l’anno appena passato per l’ospedalità privata e quali questioni affronterete nel 2023?
“Come Confindustria, nei giorni scorsi, abbiamo inviato una lettera al presidente della Regione, Renato Schifani, e all’assessore alla Sanità, Giovanna Volo, in cui rappresentiamo la massima disponibilità delle strutture private. Perché in Sicilia avviene che si pongono dei limiti ai servizi erogati in ambito regionale. Questo per noi è un freno. In questo modo si favorisce seppure sempre di minore impatto la migrazione sanitaria, con risorse che vanno alle regioni del Nord. Eppure, c’è un’analisi del Censis relativa all’anno scorso, da cui risulta addirittura che in alcune specialità l’intervento privato sia più gradito al cittadino. L’87 per cento dei cittadini siciliani ha espresso l’opinione che la libertà di scelta di decidere a chi rivolgersi debba essere amplificata. E invece, spesso, non c’è la scelta di essere operati qui in Sicilia perché ci mancano fondi. Non manca però l’offerta qualificata dell’ospedalità privata catanese che opera su ben 15 Case di cura per acuti (a parte le riabilitazioni e le Rsa) associate anche all’Aiop (Associazione ospedalità privata), presieduta da Barbara Cittadini”.

Avete percepito le intenzioni del Governo regionale e dell’assessore Volo?
“Ancora risposte non ne abbiamo ricevute. Ma la lettera punta proprio a comprendere i meccanismi che stanno alla base di questo sistema che, tra l’altro, incide sul principio di uguaglianza”.

Parliamo della vostra struttura: quanti dipendenti e collaboratori avete? Come avete chiuso il bilancio?
“Tra diretti e indiretti, arriviamo a circa mille persone. L’equilibrio economico riusciamo a mantenerlo, ma arriviamo a fine anno con il fiato sul collo perché i costi, anche per l’alta specialità che affrontiamo, incidono in maniera notevole sulla gestione. Grazie ai finanziamenti coperti da Sace, abbiamo avuto un’importante iniezione di liquidità, anche perché gli anni caratterizzati dall’emergenza Covid hanno pesato negativamente. Le spese raggiungono quasi il valore degli incassi”.

Siete riusciti a partecipare alle gare e ottenere fondi dal Pnrr?
“Sì, abbiamo necessità di rinnovare alcune apparecchiature a elevata tecnologia. Abbiamo fatto istanza ai fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Insomma, il protocollo attende vidimazione. Abbiamo chiesto dieci milioni per il rinnovo tecnologico. Ma abbiamo bisogno anche di intervenire sul personale: ci sono in vista pensionamenti di figure storiche. A Pedara, Centro Cuore, per esempio alcune eccellenze sono andate in pensione e occorrerà sostituirle”.

Tanti nodi da sciogliere per il futuro del settore

Quali altri problematiche affliggono il sistema sanitario privato?
“Di sicuro c’è una questione recente provocata dal cosiddetto Decreto concorrenza. Se ne è parlato, ma è una cosa un po’ ambigua. Si vorrebbero mettere i cosiddetti accreditamenti delle strutture private in discussione appaltandoli periodicamente. C’è un’audizione di Barbara Cittadini (presidente Aiop, Associazione italiana ospedalità privata, ndr) al Senato che mette a fuoco il problema: non c’è concorrenza pubblico–privato. Mentre il tetto di spesa viene fissato per le strutture di diritto privato, vengono pagati i costi alle strutture pubbliche. Con la nuova legge, gli accreditamenti vengono messi a bando, ma così gli investimenti non vengono tutelati. Un conto è rivedere il tutto relativamente ai nuovi accessi, ma così viene messo in discussione l’esistente. E questo è un grande punto interrogativo”.

E per quanto riguarda la possibilità di spesa delle strutture private?
“Qui siamo di fronte a un altro problema: il tetto di spesa è ancora legato al fabbisogno, che è stato rivelato nel 2011 a consuntivo. Cioè è basato sulla spesa storica di dieci anni fa. Quindi, da anni, le Regioni non hanno margini per articolare la loro politica sanitaria. Chiederemo chiarimenti anche di questo all’assessore”.

Salvatore Castorina, Presidente emerito del Policlinico G.B. Morgagni e presidente della Fondazione G.B. Morgagni

Gli insegnamenti lasciati dalla pandemia e la necessità di puntare sulla formazione

Presidente emerito del Policlinico G.B. Morgagni e presidente della Fondazione G.B. Morgagni è Salvatore Castorina, classe 1928, punto di riferimento per la sanità siciliana e nazionale. Anche lui ha risposto alle nostre domande.

Professor Castorina, lei è un medico di grande esperienza. Cosa è cambiato dopo il Covid dal suo punto di vista?
“Siamo passati attraverso tante fasi: cosa resta? Innanzitutto l’aspetto positivo, ovvero aver potuto gestire il malato in maniera praticamente personalizzata. Mi spiego meglio: la pandemia ha di fatto visto cambiare il rapporto paziente–famiglia, un aspetto negativo per certi aspetti. È evidente che questo sganciamento dal rapporto familiare ha creato e crea a situazioni sofferte dal punto di vista psicologico, e non sempre si è riusciti a rimediare a questo distacco. Nella fase acuta abbiamo realizzato circuiti interni Tv. È l’occasione per ringraziare i Rotariani per il contributo assicurato dai loro clubs con la donazione di schermo gigante collegato tra la nostra Terapia Intensiva è un punto di incontro tra la facies del paziente e i familiari. L’aspetto positivo è che il medico forse ha potuto dedicare in una forma meglio definita dal punto di vista professionale il suo tempo al malato, perché è venuto meno il pressing dei congiunti. È stato positivo anche poter dominare meglio le infezioni ospedaliere, proprio per la minor presenza di individui all’interno dell’ospedale”.

Cosa altro ha svelato la pandemia?
“Di certo ha riproposto un problema cogente: la risposta che la medicina di base è tenuta a dare al paziente. Risposta che spesso non viene data, come rilevato nelle sedi competenti, forse perché non è stato definito con chiarezza il ruolo del medico di base all’interno del sistema. La pandemia ha evidenziato il sovrappopolamento del Pronto soccorso, mettendo in evidenza come sia gravosa la gestione delle emergenze. Non è facile in un momento di crisi, e devo dare atto che il servizio nazionale ha resistito e ha cercato di porre rimedio, ma mi piace evidenziare la nuova opportunità che ci viene data: occorre regolare meglio la medicina di base, che deve essere in grado almeno nelle patologie meno complesse di fare la diagnosi”.

Cosa è cambiato, invece, nel mondo della formazione? C’è davvero la crisi della vocazione?
“Ci sono specialità che sono al vertice del contenzioso medico–legale. La questione è questa: chi esercita attività chirurgica ha timore di andare in sala operatoria proprio perché il contenzioso, non sempre in buona fede, è dietro l’angolo. Per questo un giovane è titubante rispetto ad alcune specialità. E la cosa più grave è questa: non basta costruire gli ospedali se non si formano i professionisti. C’è un problema di programmazione e il numero chiuso non ha certo aiutato. Attendiamo i correttivi”.