Parliamo dei suoi primi “cento giorni” da rettore dell’Ateneo di Catania. Quali sono le iniziative già in cantiere, gli obiettivi e le prospettive a medio e lungo termine messe in agenda per questo antico e prestigioso fulcro della formazione e della cultura qual è l’Università di Catania, che conta 40 mila studenti?
“La squadra è formata e tengo a sottolineare che si sta puntando sulle competenze. Nella seduta dello scorso 20 dicembre, il Consiglio di amministrazione ha deliberato all’unanimità il conferimento dell’incarico di direttore generale, per il triennio 2020/2023, a Giovanni La Via, professore ordinario di Economia ed Estimo rurale presso il Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente. Ho più di quaranta delegati, e mi riferisco a deleghe di un certo spessore. Per la prima volta sono state conferite da un rettore ‘deleghe di firma’. Naturalmente ciascuno in riferimento alla propria competenza. All’interno delle varie ‘cabine di regia’ (Ricerca, Didattica, Internazionalizzazione, Terza missione, Sanità e Innovazione in ambito medico, Comunicazione) si formano gruppi di lavoro con a capo un coordinatore. Facciamo un esempio: è stata istituita la cabina di regia della Ricerca, composta da delegati che hanno competenze su ambiti differenti ma guidati da un coordinatore, il quale ha la delega di firma su tutto ciò che riguarda l’ambito in questione”.
Dunque il delegato è il coordinatore?
“I delegati sono tali per conto del rettore negli ambiti di loro competenza. In base all’art. 6 dello Statuto di Ateneo, il rettore può delegare proprie funzioni ad altri docenti di ruolo a tempo pieno. Il coordinatore è uno dei delegati e funge da supervisore. Dunque, si ha un decentramento e una responsabilizzazione che permette un cammino più rapido di tutti i progetti, in ogni settore. Incontro costantemente questi gruppi di lavoro, che portano avanti specifici progetti. Per citarne uno incontrato di recente, quello dell’Internazionalizzazione. E colgo l’occasione per dire che abbiamo lanciato dei bandi d’Ateneo, per consentire la mobilità a studenti e professori”.
Un nodo cruciale è quello dei fondi. Cosa può dirci in merito?
“Alla fine è una questione di scelte. Nonostante il periodo finanziariamente complicato noi abbiamo aumentato i fondi per la ricerca scientifica del cinquanta per cento. Dal mio insediamento sono trascorsi solo tre mesi, eppure abbiamo stabilizzato 140 precari, personale tecnico-amministrativo”.
Quali sono i rapporti con le altre Università, anche internazionali?
“L’idea è quella di aprirsi sempre più, tanto a livello internazionale che nazionale e non ultimo con il nostro territorio e le sue imprese. È vero che già in passato ci sono stati dei progetti di questo tipo con imprese e industrie, ma troppo spesso si è trattato di iniziative partite grazie alla buona volontà dei singoli docenti e non da un sistema. L’obiettivo è istituzionalizzare il sistema, attraverso un ‘joint research center’, un centro di ricerca congiunto tra Ateneo e industria, dove tutte le collaborazione siano coordinate e incanalate verso obiettivi comuni e facilitati. Ci stiamo lavorando e credo di poter dire che ne sentirete presto parlare. Nell’ambito della ricerca, tengo a sottolineare anche la forte collaborazione con il Cnr”.
Gli studenti e l’esperienza sul campo. Cosa ci può dire di più su queste iniziative?
“Abbiamo diversi progetti. Fra questi rafforzare uno strumento importante che ci viene dato dai ‘dottorati industriali’, che permettono di avere il massimo livello di formazione, il dottorato appunto, svolto all’interno dell’Università ma in collaborazione e all’interno dell’azienda”.
Abbiamo parlato di progetti di internazionalizzazione. Come vengono visti i nostri studenti quando fanno delle esperienze ‘fuori porta’? Qual è la percezione che si ha della loro preparazione?
“La maggior parte dei nostri laureati, quando si muove e va fuori è più che apprezzata. Possiamo trovare tanti difetti alla nostra Università, che bisogna tenere presenti e su cui bisogna lavorare, ma è un dato di fatto che il bagaglio formativo che l’Università di Catania riesce a dare ai suoi studenti è assolutamente di alto livello. Molti allievi ricevono proposte ancor prima di conseguire la laurea. Sono studenti che, grazie all’internazionalizzazione, durante il loro percorso di studi hanno fatto delle esperienze all’estero e già lì si sono distinti, tanto che prima di conseguire il titolo accademico hanno già proposte in Università straniere per svolgere altrove il dottorato di ricerca”.
Portare all’esterno la cultura, in ogni sua forma e non chiuderla tra le mura dell’Ateneo. Cosa ne pensa? Dare maggiori stimoli alla popolazione, ai più giovani e non, è una strada percorribile, seppur non quella specifica dell’Università? Ormai il dialogo, la conversazione, il confronto delle idee a scuola, a casa, nei luoghi di svago è intralciato, soprattutto tra i più giovani, per via dell’uso sempre più massiccio dei congegni tecnologici, seppur non da demonizzare. Cosa può fare l’Università? Quale contributo può dare?
“Non c’è dubbio che questa sia una delle missioni dell’Università, anzi rappresenta la cosiddetta ‘Terza missione’, che consiste nel favorire e contribuire attraverso la conoscenza allo sviluppo culturale ed economico della società. E non è un caso se quest’anno, come segno importante che l’Università vuole dare del suo stretto legame con il territorio, la cerimonia d’inaugurazione dell’anno accademico 2019/2020 si terrà venerdì 31 gennaio 2019 in orario serale al Teatro Massimo Bellini. Sarà anche l’occasione per festeggiare il 585° anno dalla fondazione dell’Università degli Studi di Catania. E tra gli ospiti avremo la direttrice del Cern di Ginevra, Fabiola Gianotti. La scienziata che è stata fra i protagonisti della scoperta del bosone di Higgs, che ha portato all’assegnazione del Nobel per la Fisica nel 2013 ai fisici Peter Higgs e François Englert. Dunque, un’inaugurazione fuori dai luoghi accademici, e in un luogo simbolo della cultura che attraversa un periodo di gravi difficoltà, in questo modo si vuol dare un segno di vicinanza al nostro territorio”.
Parliamo della pianta organica. Ci sono carenze, o esuberi?
“Cosa è successo in Italia negli ultimi quindici anni? In sostanza, e indipendentemente dal colore dei Governi che si sono susseguiti, la linea che è stata tenuta sull’Università ha consentito un travaso netto, tanto di risorse economiche quanto di personale, dalle Università meridionali alle Università del Nord. Questo non lo dico io, ma lo dicono i dati. Lo dice la Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno), lo dicono gli economisti a partire da Gianfranco Viesti, che ne ha fatto un’analisi in un libro importante, dal titolo: ‘Università in declino. Un’indagine sugli atenei da Nord a Sud’. Dunque, parliamo di dati di fatto legati a un sistema che, con dei meccanismi premiali, è stato cosi costruito per raggiungere tale obiettivo. Andando a valutare un’Università come quella di Catania, mettendola a confronto con quella di Bologna, o Padova o ancora al Politecnico di Milano e analizzando, per esempio, il parametro relativo al numero degli studenti fuori regione, il risultato sarà chiaro. Un’Università insulare come quella di Catania non può competere con un’Università centrale come quella di Bologna, indipendentemente dal valore della stessa. Ma se il parametro è questo, ne uscirà perdente. Oppure, mettendo come parametro la capacità di occupazione a un anno dalla laurea, il risultato che ne verrà fuori confrontando un’università del Nord con quella di Catania sarà chiaro a priori anche questo: il substrato socio economico del nostro territorio è diverso da uno del Nord. Tutto ciò non può dipendere dalla qualità o capacità dell’Università. Ma se questo è il criterio per trasferire risorse (personale e fondi) è altrettanto chiaro che nel lungo termine chi è povero diventerà più povero e chi è ricco lo sarà sempre più. Mi auguro che il nuovo ministro per l’Università e la ricerca, Gaetano Manfredi, che conosce bene questi temi, sappia agire”.