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Il futuro delle buone cure passa anche dalla telemedicina

La rivoluzione della trasformazione digitale della sanità prevista dalla Missione 6 Salute del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), passa attraverso il potenziamento della telemedicina che ha dimostrato tutte le sue potenzialità durante la pandemia Covid.

L’obiettivo è di assistere con la telemedicina almeno 200mila pazienti entro il 2025. Ma come si può raggiungere questo target? “Con la creazione delle infrastrutture tecnologiche e lo sviluppo dell’organizzazione dei servizi per la telemedicina”, riporta il sito del ministero della Salute.

A questo scopo sarà supportato lo sviluppo di progetti regionali e transregionali per l’erogazione dei servizi di telemedicina e la creazione di due infrastrutture tecnologiche: la Piattaforma nazionale per la governance e diffusione della telemedicina, afferente alla Componente 2 della Missione Salute del Pnrr; la Piattaforma nazionale telemedicina per l’erogazione dei servizi di telemedicina, afferente alla Componente 1 della Missione Salute del Pnrr. L’investimo previsto è di un miliardo di euro.

L’impegno sulla telemedicina è stato ribadito anche dal ministro della Salute Orazio Schillaci, soprattutto come aiuto per i pazienti cronici.

“Siamo tutti consapevoli della necessità di proteggere questi pazienti offrendo loro la possibilità concreta di accedere a cure e terapie adeguate in tempi congrui, di usufruire dell’assistenza domiciliare, dei servizi di telemedicina e di teleassistenza per garantire una qualità di vita migliore per loro, per le loro famiglie e per i loro caregiver. E dobbiamo farlo in tempi brevi”.

Una fotografia delle soluzioni di telemedicina implementate dalle aziende sanitarie fino oggi, anche a fronte della pandemia Covid, è stata illustrata da una ricerca condotta dal Laboratorio sui Sistemi informativi Sanitari dell’Altems, l’Alta Scuola di Economia e Management dei sistemi sanitari dell’Università Cattolica di Roma, in collaborazione con il Cerismas, alla quale hanno contribuito 128 aziende, distribuite in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale e rappresentative di circa 400 presidi ospedalieri, che hanno descritto 285 soluzioni già operative e/o in corso di realizzazione; un campione senz’altro rappresentativo dello scenario nazionale.

La quasi totalità delle aziende (oltre il 92%) considera la telemedicina rilevante nell’ambito della propria offerta di servizi sanitari; oltre il 60% prevede di avviare altri progetti – in aggiunta a quelli già esistenti- nell’arco dei prossimi diciotto mesi.

“L’interazione con il paziente (televisita, telemonitoraggio, teleassistenza) ha costituito fino adesso il principale ambito di applicazione (66%) – riporta la ricerca -. Altrettanta importanza viene comunque attribuita alla collaborazione sul territorio (telecollaborazione e teleconsulto) per iniziative previste per il prossimo futuro. Come è ovvio, la diversità delle patologie, dei percorsi e modelli assistenziali e delle tipologie di pazienti, determina esigenze differenti, sia dal punto di vista clinico che organizzativo”.

“Questo si traduce nella impossibilità di una soluzione unica – ha fatto emergere la ricerca – ma nella presenza, all’interno della stessa azienda, di più soluzioni di telemedicina implementate con strumenti diversi, che vanno dal solo utilizzo di telefono e mail (in oltre il 40% dei casi), a forme più strutturate di comunicazione tramite piattaforme web pubbliche (nel 16%), all’uso di sistemi regionali (adottati nel 24%), fino all’implementazione applicazioni commerciali, presenti nei due terzi dei casi e realizzate in oltre il 70% dei casi con fondi autonomi e per il 20% a fronte di donazioni”.

È stato anche richiesto alle aziende di indicare i principali fattori di criticità nell’implementazione di soluzioni di telemedicina.

“All’interno delle aziende la frammentazione dei dati fra i diversi sistemi costituisce il problema principale, mentre la scarsa familiarità con i dispositivi e la non facilità nell’uso dei programmi sono le difficoltà ritenute più rilevanti per l’accettazione da parte dei pazienti”, conclude la ricerca.