Inchiesta

Chiude il G20, stop a guerra e a tensioni Usa-Cina per far fronte alle sfide globali

Dalla guerra in Ucraina alle tensioni ultradecennali tra Arabia Saudita e Iran, dai rapporti USA-Cina alla stabilità precaria dell’area mediterranea: potremmo già considerarci nel cuore della “terza guerra mondiale a pezzi” di cui tempo fa parlavano papa Francesco e alcuni esperti di geopolitica.
Uno scenario complesso quello che è stato al centro del dibattito tra i Paesi più industrializzati al mondo e rappresentati al G20 di Bali (Indonesia) del 15-16 novembre 2022.

Alla soglia del 2023, il rischio di recessione economica – tra shock energetico e inflazione “galoppante” – appare sempre più dietro l’angolo, soprattutto per l’Eurozona. E l’evoluzione dello scenario internazionale, a partire dal conflitto tra Russia e Ucraina, contribuirà inevitabilmente a plasmare la situazione economica dei prossimi mesi e probabilmente deciderà, almeno in parte, anche la direzione presa dal Governo Meloni sulla manovra di bilancio italiana. Una manovra che potrebbe prevedere uno scostamento di bilancio proprio in risposta alla crisi energetica internazionale.

“Recover Together, Recover Stronger” è stato il tema del G20. Sembra, però, che questo slogan non sia pronto a trasformarsi in realtà, considerando le tensioni che “ammorbano” lo scenario globale. Decisiva per tutta la comunità globale, ma soprattutto per l’Italia e il resto d’Europa, sarà l’evoluzione del conflitto russo-ucraino.

Il “botta e risposta” tra Mosca e Kiev, l’intervento di Zelensky in video-conferenza al G20, l’imminente Consiglio di Sicurezza dell’Onu per i fatti avvenuti in Polonia e l’appello del presidente indonesiano Joko Widodo a evitare una nuova “Guerra Fredda” (o “calda”) restituiscono l’idea della precarietà della stabilità globale e, al momento della chiusura del G20, il “cessate il fuoco” appare purtroppo più lontano della temuta minaccia nucleare (citata anche nella dichiarazione conclusiva del Summit).

E non c’è solo la guerra in Ucraina da considerare

Il possibile “stop” alla ripresa post-Covid e la potenziale recessione – che, in Italia, secondo il “Global Economic Outlook 2022” della società di rating Fitch dello scorso settembre, potrebbe portare a una contrazione del Pil pari allo 0,7% nel 2023 – dipendono anche da altri fattori. Tra questi c’è il rapporto tra Stati Uniti e Cina, il colosso americano e il gigante asiatico. Si tratta di due Paesi apparentemente lontani che, però, con i loro atti hanno il potere di decidere in poche e semplici mosse le sorti dell’economia globale.

Il mancato equilibrio nella gestione della “rivalità” tra Cina e Usa potrebbe incidere notevolmente sugli scambi commerciali, soprattutto per quelle aree del mondo – dal Mediterraneo al Pacifico – che di export e rapporti con l’estero vivono, non ultima la Sicilia.

Ci sono anche i vari “focolai” dell’area mediterranea da considerare, come la complessa questione libica.
Quel che appare chiaro, a conclusione del G20 di uno degli anni più complicati della storia recente, è che il mondo è di fronte a una “bomba interazionale” composta da fattori diversi ma ugualmente decisivi per l’evoluzione dell’economia internazionale.

La sua esplosione o il suo contenimento decideranno inevitabilmente le sorti del mondo e lo faranno molto presto.
Per affrontare il delicato argomento, sul QdS è intervenuta la professoressa Lucia Tajoli, docente ordinario di Politica Economica al Politecnico di Milano e analista dell’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale).

Lucia Tajoli, professore ordinario di Politica economica al Politecnico di Milano

Lucia TAJOLI Festival dell’Economia Palazzo Calepini – Sala Fondazione Caritro Trento, 1 giugno 2019 FOTO: Domenico SALMASO


Che lettura possiamo dare a posteriori delle sanzioni alla Russia: sono servite alla pace? Possiamo dire che hanno prodotto più danni che benefici, soprattutto all’Italia?
“Credo che le sanzioni stiano funzionando. Le sanzioni hanno bisogno di tempo per funzionare. Non vedere degli effetti subito, dopo le prime settimane o anche i primi mesi, è normale. Stanno iniziando a funzionare di più adesso che non due o tre mesi fa o nel periodo immediatamente successivo all’inizio del conflitto. Questo avviene perché c’è un effetto importante delle sanzioni da ricordare: all’inizio si pensava che le sanzioni mirate contro oligarchi potessero creare dissenso in Russia, contro Putin e contro la guerra. In realtà, in un regime fortemente accentrato come quello russo, questo effetto non c’è stato. Anzi, secondo alcuni studi, alcune sanzioni hanno generato un effetto contrario, nel senso che hanno incentivato il nazionalismo russo. Da quel punto di vista, probabilmente le sanzioni non hanno avuto l’effetto sperato. Ma le sanzioni funzionano in modo diverso: la Russia ha molto bisogno di importare una serie di cose (dalla tecnologia a vari materiali) e il taglio alle forniture della Russia sta veramente cominciando a mettere in difficoltà l’economia russa, che cerca di approvvigionarsi altrove ma certe cose fa fatica a reperirle. Con il tempo, quindi, la mancanza di ricambi, di alcuni macchinari o armamenti necessari per la guerra potrebbe far sentire maggiormente l’effetto dell’isolamento economico. Ritengo che, con il tempo dovuto e non con l’effetto di creare scontento intorno a Putin ma di rendere difficile la gestione dell’economia russa, le sanzioni stiano funzionando. Le sanzioni ovviamente hanno un costo per chi le impone, ma credo che il costo non sia così elevato, che sia più che sopportabile. Si è sentito parlare della mancanza di turismo russo e di vendita di alcuni beni sul mercato russo: ovviamente, su specifiche categorie, il costo delle sanzioni c’è stato, ma non è stato un costo così elevato. Dal punto di vista dell’economia italiana, è molto più pesante un conflitto prolungato che l’effetto delle sanzioni. Se le sanzioni servissero ad accorciare la durata del conflitto, sarebbe un bene: per l’Italia, infatti, sarebbe molto più costoso andare avanti a lungo con questa guerra e questa situazione di incertezza”.

Shock energetico, inflazione e rincaro materie prime: quali scenari economici immagina a livello internazionale, ad esempio, tra sei mesi: la fiammata si spegnerà? Dipenderà tutto dall’evoluzione del conflitto russo-ucraino?
“Sicuramente l’andamento del conflitto tra Russia e Ucraina inciderà. Non è l’unica cosa, però per l’Europa inciderà molto. Ci sono una serie di decisioni da parte degli operatori economici che sono ‘sospese’ in attesa dell’evoluzione di questo conflitto. Tutta una serie di decisioni di investimento, per esempio, dipende da quanto durerà il conflitto, così come delle decisioni relative alle politiche energetiche. Il conflitto e la sua durata ed evoluzione, quindi, incideranno parecchio ed è difficile fare previsioni. Al netto del conflitto, però, ci sono anche una serie di fattori molto positivi. Alcuni risultati economici sono stati migliori rispetto alle attese recentemente. Sono state impiegate, per esempio, politiche fiscali fortemente espansive – sia a livello nazionale che europeo – per uscire dallo shock pandemico. C’è molta disponibilità di fondi, quindi, per fare degli investimenti. Ci sono una serie di fattori che potrebbero favorire la ripresa, ma pesa molto questa situazione incerta: per questo, è difficile fare previsioni esatte. Se il conflitto finisse in tempi rapidi (e le prospettive a riguardo cambiano di settimana in settimana), ci sarebbero dei fattori che potrebbero molto aiutare la ripresa. Le politiche fiscali fortemente espansive e la stessa ricostruzione dell’Ucraina – il fatto, quindi, di creare dei nuovi collegamenti che leghino l’Ucraina all’Europa per evitare dei nuovi conflitti in futuro e cose del genere – sono fattori che potrebbero aumentare l’attività economica e accelerare la ripresa. È difficile fare previsioni. Ci sono altre fonti di preoccupazione in giro per il mondo, oltre alla guerra in Ucraina. Un esempio sono le tensioni tra Stati Uniti e Cina, che potrebbero riaccendersi per svariate ragioni e che sono un altro motivo di possibile rallentamento dell’attività economica. Ci sono tante produzioni che dipendono da input che vengono dalla Cina e dall’Asia orientale. Se ci sono tensioni commerciali e gli scambi rallentano, questo potrebbe essere un fattore negativo per l’economia. Al G20 ci sono Biden e Xi. Il futuro dipende molto anche da cosa verrà fuori da questo evento. L’andamento dell’economia globale – non c’è dubbio – dipende da come vanno le cose negli USA e in Cina. È un fattore che incide tanto e da cui dipende il futuro economico”.

Meloni sta lavorando ad una manovra di bilancio lacrime e sangue: ha ragione Bonomi quando dice che lo scostamento deve essere l’estrema ratio e che ampi margini di risorse da destinare a imprese e famiglie si possano trovare nella “razionalizzazione” della spesa pubblica?
“Abbiamo già un livello di debito molto alto. Cercare di evitare scostamenti di bilancio, quindi, sarebbe un obiettivo da perseguire. In più, bisognerebbe anche cercare di evitare scostamenti di bilancio per erogare contributi che di fatto sono a fondo perduto. Può esserci un’emergenza, come il caro bollette, con un peso su specifiche famiglie e imprese, che hanno quindi molto bisogno di ricevere dei fondi. Dal punto di vista del Governo, però, è chiaro che spendere questi soldi per sostenere le bollette delle imprese o delle famiglie vuol dire concedere soldi a fondo perduto. È molto diverso erogare soldi per questo piuttosto che spendere soldi per costruire nuove infrastrutture, per esempio. Nel secondo caso si tratta di investimenti, quindi ci si aspetta da essi un ritorno sull’economia. Dare i soldi per aiutare a pagare le bollette può essere importante ma è chiaramente a fondo perduto. E questo credo possa aggravare l’impatto sul disavanzo. Questo tipo di intervento andrebbe fatto in modo cauto e selettivo. Non è che non debba essere fatto, perché delle situazioni d’emergenza possono richiederlo, ma bisogna farlo in maniera molto selettiva. Non è detto che tutti ne abbiano diritto. Alcuni costi legati all’energia, come quello del gas, stanno in parte rientrando. Su questo tema c’è stato un grosso problema di speculazione. Il rischio di aiutare chi ha bisogno – che, ripeto, in alcuni casi di emergenza può rivelarsi necessario – potrebbe incoraggiare a tenere alti i prezzi dell’energia, perché non c’è incentivo a riabbassare i costi. È più importante, per me, cercare di fare delle politiche che vadano a colpire chi ha fatto extra-profitti”.