Intervistati dal direttore Carlo Alberto Tregua e dal vice presidente Filippo Anastasi, Rosario Lorusso e Riccardo Rapanotti, rispettivamente Comandante Italia Sud-Occidentale e Comandante regionale Sicilia della Guardia di Finanza, rispondono alle domande del QdS.
In che modo l’emergenza pandemica ha modificato il vostro lavoro di tutela della spesa pubblica? Avete aumentato i controlli in settori come il Reddito di cittadinanza, pur dovendo distrarre risorse per privilegiare alcuni ambiti meno importanti al posto di altri?
Lorusso: “Non ci sono distrazioni di risorse a vantaggio di determinati settori rispetto ad altri. Il Reddito di cittadinanza ha richiesto un impegno notevole, per cui su undicimila controlli, ben cinquemila sono risultati irregolari. Se, però, si vanno a guardare i grandi numeri, il Reddito di cittadinanza è stato necessario per aiutare tante persone, tuttavia va messo un freno. Purtroppo, c’è molto malcostume in tema di uso delle risorse pubbliche, ma occorre dimostrare che non si può approfittare impunemente delle risorse dello Stato. Se l’evasione fosse al 5% del Pil, questa soglia sarebbe fisiologica e non richiederebbe un impegno notevole”.
Si parla di cento miliardi di evasione fiscale e ottanta miliardi di contributi non versati per il lavoro nero. Ritenete che queste siano stime reali?
Rapanotti: “Il calcolo, anche statistico, dell’economia non osservata, acronimo Noe, deriva da indagini ufficiali Istat che vanno a finire nei documenti ufficiali della programmazione economica annuale. La stima, semmai, è per difetto, poiché nel Noe confluiscono sia i dati di evasione di carattere fiscale e tributario sia i dati dell’evasione contributiva. Tutto il lavoro nero sommerso confluisce, quindi, in quella parte di economia non osservata che viene inserita nei dati statistici. In più, da qualche anno a questa parte, c’è anche una parte di Pil che sta nel Noe, che riguarda il prodotto interno lordo delle imprese criminali, secondo le direttive delle Nazioni unite. Si tratta di calcoli piuttosto precisi su evasione e mancate contribuzioni previdenziali che si stima che si aggirino su 130 miliardi”.
Secondo previsioni ottimistiche, la Sicilia potrebbe raggiungere i cento miliardi di Prodotto interno lordo. Esistono, in effetti, delle possibilità che lo permetterebbero, se si spendessero i soldi previsti dalle risorse pubbliche. Ma quali sono i rischi che potrebbe comportare una spesa incontrollata?
Lorusso: “Spesso le strutture, soprattutto in alcune regioni del Centro-Sud, chiamate a pianificare e predisporre i progetti, non hanno le professionalità sufficienti e formate. Bisogna prenderne atto rapidamente, perché si possono avere belle intuizioni o idee, ma quando si va sull’iter previsto, è necessario un certo realismo”.
I progetti del Pnrr non devono essere vidimati dal ministero degli Esteri per essere approvati dalla Commissione europea?
Rapanotti: “Esiste un sistema di Governance molto complesso, in cui operano 23 Amministrazioni centrali che sono le titolari dei progetti e, secondo i sei obiettivi strategici del Pnrr, ogni ministero ha la sua competenza, dovendo rispettare ogni regola dell’Unione europea”.
Lorusso: “La procedura è rigida, perché a loro volta le 23 amministrazioni sono sottoposte alla vigilanza di un organismo apposito e centralizzato presso l’Ispettorato Generale per i Rapporti finanziari con l’Unione Europea (Igrue). Prima di andare a Bruxelles, i progetti devono essere validati e molti di quelli della Sicilia sono stati ritenuti non ammissibili o non sono stati finanziati”.
Il problema è spendere i soldi? Eppure, prima di approvare un finanziamento, ci sono i controlli delle banche e degli organismi di controllo vari. Com’è possibile evadere?
Lorusso: “Esiste un segmento di economia illegale che aspetta di potersi inserire in questi finanziamenti. I nostri controlli vengono dopo, a lavori fatti. Se l’opera risulta completata, ma non ci sono i controlli sostanziali, la truffa non viene scoperta”.
Rapanotti: “Esistono molti artifici per riuscire a gonfiare i costi, come l’utilizzo di materiali non idonei, alzare le tariffe o consulenze inesistenti. Non è necessario lucrare sul 100%, ma, se la percentuale dell’evasione su due miliardi è del 10-15%, c’è una fetta importante che è lucrata”.
Il vostro intervento non può essere preventivo? Non potete intervenire prima e non dopo come, invece, succede?
Lorusso: “Il Governo ha centralizzato tutti i controlli nella Ragioneria di Stato, che ha un filo diretto con il ministero dell’Economia, per monitorare i controlli. In questo modo, sono emesse delle direttive da osservare per tutti. In realtà, il numero di appalti è enorme e ogni regione dovrebbe avere il suo organo di controllo per eseguire le procedure. In un sistema funzionante, si bandisce l’appalto, si compiono le gare e si realizzano le opere, la patologia interverrebbe dopo. Tuttavia, esiste una carenza di responsabilizzazione da parte degli enti gestori, per cui si mettono tanti di quei paletti che il rimedio è peggiore del male”.
Rapanotti: “Esiste, tuttavia, un’attività di prevenzione, perché tutti gli accordi e i protocolli, anche al di fuori del Pnrr, prevedono due clausole, una di carattere generale e una di carattere particolare. La prima consiste in una raccolta d’informazioni di tutti gli appalti della Regione Sicilia. Noi abbiamo un protocollo d’intesa che copre tutti gli assessorati e copre anche la tematica delle Zes, le zone economiche speciali. Quindi, tutto ciò che riguarda la spesa pubblica della Regione, è monitorato dalla Guardia di Finanza. Esiste, poi, la clausola particolare, per cui si dovesse manifestare qualche possibile irregolarità, s’interviene con un approfondimento. In questo caso, si è ancora in una fase preventiva quando si bandiscono le gare o presentano i progetti. In realtà, interveniamo quando c’è un compito specifico, altrimenti le risorse non basterebbero”.
Non esiste un modo per controllare, pur semplificando le procedure?
Lorusso: “Uno degli obiettivi posti dal Pnrr è la semplificazione delle procedure, che è osteggiata perché si ritiene che, semplificando, si possano agevolare le infiltrazioni criminali. La scelta è tra accettare la possibilità che ci sia più corruzione, per cui esistono sempre rimedi, con le semplificazioni, o appesantire le procedure, rischiando di bloccare molte possibilità di sviluppo, perdendo i finanziamenti del Pnrr”.
Che ruolo ha il contrabbando all’interno del mondo illegale nazionale?
Rapanotti: “È chiaro che il contrabbando, in periodi di crisi economica, si riprende, perché la domanda di consumo resta costante, ma si cerca di spendere di meno. Se aumentano i costi in modo esponenziale, c’è più spazio per il mercato nero.
Lorusso: “Il tradizionale contrabbando di sigarette si era orientato verso il mercato inglese, dove un pacchetto di sigarette costava quattro volte che in Italia. La convenienza, quindi, esisteva nell’acquisto di sigarette illegali in Inghilterra rispetto all’Italia, dove i prezzi erano molto più bassi in proporzione. Tuttavia, il contrabbando riguarda anche le accise sui carburanti”.
Anche la droga rientra nel segmento del contrabbando?
Rapanotti: “In realtà no, perché le imposte sono sui prodotti legali, per cui evadi le tasse. La droga è un prodotto illegale, seppur i trafficanti utilizzano i metodi del contrabbando Gli stupefacenti restano il principale prodotto illegale, tipico della criminalità organizzata, comune o mafiosa che sia. È un settore di grande rendimento e in una recente conferenza del Gico di Palermo, particolarmente attivo nelle indagini su questo fenomeno, è stato spiegato il motivo di tale importanza. La maggiore azienda italiana che ha un ritorno sul capitale investito è l’Eni, che ha i maggiori guadagni, al momento, dovuti ai rincari petroliferi, pari a 0,20 centesimi per ogni euro investito alla fine dell’anno. Invece, un’organizzazione criminale che investe un euro in cocaina, ha un ritorno di 186 euro a fine anno. I dati del 2021 riportano sette tonnellate confiscate di hashish, cocaina e droghe sintetiche che mettono a rischio la salute dei nostri giovani”.
Lorusso: “Gli stupefacenti si rendono talmente redditizi che lo si vede dagli ingenti sequestri effettuati in Sicilia e Calabria, dove sono state sequestrate 38 tonnellate, in particolare al Porto di Gioia Tauro. Questo porto, infatti, è il principale hub d’ingresso per le merci estere, da dove la droga viene inviata nel resto d’Italia. I sequestri sono, quindi, cospicui, ma il timore è che per ogni tonnellata sequestrata, altre due ne passano. Tuttavia, i fastidi si stanno arrecando alla criminalità organizzata, perché le perdite economiche sono notevoli, grazie al gioco di squadra, alla capacità d’analisi svolte e alle nuove tecnologie oggi disponibili. Una differenza tra la Calabria e la Sicilia è che in Calabria si sviluppano, relativamente, poche indagini che riguardano le grandi organizzazioni criminali. Invece, in Sicilia, si colpisce la rete di distribuzione della droga”.
I cardini del Corpo di Polizia Economico-Finanziaria sono la formazione continua e la competenza…
Lorusso: “Il nostro punto cardine è la formazione di base del personale, poiché tutti i nostri ufficiali escono laureati dopo cinque anni di studi in Giurisprudenza, con gli ultimi tre anni composti da materie di carattere professionale e da vari approfondimenti. Una grande novità rispetto a decenni prima, quando si usciva dall’Accademia con studi non ancora riconosciuti come laurea, pur essendo un percorso di studi che fondeva Giurisprudenza ed Economia e Commercio. Era un percorso precursore delle successive riforme universitarie. Oggi, i corsi universitari si sono quasi uniformati a questo modello. Un altro punto cardine è la formazione post-universitaria svolta dalla Scuola di Polizia Economico-Finanziaria che è un centro di eccellenza per gli ufficiali di Polizia di molti Stati e che è l’organo preposto all’aggiornamento e alla specializzazione. Perciò, eroga continuamente corsi on line e in presenza. Del resto, è stato presentato un libro bianco con cinquantasette progetti di miglioramento, tra cui l’assunzione di figure specialistiche come ingegneri informatici”.
Rapanotti: “Esiste anche a livello regionale un Centro di addestramento affidato di solito a un colonello che gestisce tutta la parte formativa sia dei percorsi indicati dal Comando generale sia di corsi regionali per esigenze specifiche. Ci sono centri in tutte le regioni con rapporti con l’Università e con scambio di docenti anche con altre istituzioni”.
Come avviene l’accesso alle banche dati?
Rapanotti: “Abbiamo accesso a circa 140 banche dati e abbiamo un servizio di informatica centralizzato molto evoluto e gestito da personale specializzato. Con questi accessi, possiamo controllare e incrociare dati da provenienze diverse. Inoltre, negli ultimi anni è stato realizzato un progetto, denominato Dorsale informatica, che estrapola da tutte le banche dati collegate tutte le informazioni riguardanti un determinato soggetto sia fisico sia giuridico. È un sistema molto importante di analisi investigativa”.
Avete un accesso diretto anche ai dati delle banche?
Rapanotti: “No, per accedere ai dati contenuti nei server delle banche per accertamenti finanziari o bancari, deve essere fatta una richiesta specifica alle banche stesse. Esiste un sistema di segnalazione di operazioni sospette che la Banca d’Italia rileva e che comunica ai nostri uffici per gli approfondimenti investigativi di carattere amministrativo. Per le indagini di carattere penale, occorre sempre l’autorizzazione del giudice”.