PALERMO – Il 10,9% degli imprenditori siciliani preferisce avviare una nuova attività ed investire in altre regioni d’Italia. Questo è quanto si evince dall’indagine di Unioncamere sulle imprese giovanili tra il 2011 e il 2018: la Sicilia si colloca all’undicesimo posto nella classifica d’emigrazione imprenditoriale. Una fotografia che mette chiaramente in evidenza come una buona percentuale di imprenditori under 35 dell’Isola, lavora e investe lontano dalla terra d’origine.
Ma se i giovani imprenditori delle altre regioni fanno brevi spostamenti, ad esempio quelli dell’Abruzzo scelgono maggiormente il Lazio, il 3% dei siciliani per le loro iniziative imprenditoriali opta per la Lombardia. Un’emorragia che emerge non solo in Sicilia ma anche nel resto del Meridione. In media più di 1 giovane imprenditore del Sud su 10 si è mosso al Centro-Nord per dare vita alla propria iniziativa di business, in totale sono 41 mila. Molise (22,8%), Calabria (21,6%) e Basilicata (19,7%) sono le regioni con maggiore mobilità di imprenditori under 35 verso altre regioni d’Italia, a volte anche in aree limitrofe.
Ma nonostante le difficoltà ai giovani piace fare impresa e da questo report emerge come sia importante dare loro un supporto adeguato. Un’impresa giovanile su 3 chiude i battenti nei primi 5 anni di vita e di queste quasi la metà non supera il biennio. Ma superate le criticità dei primi periodi, gli “under 35” hanno dimostrato di essere più resistenti rispetto agli altri imprenditori.
Le domande che ci si pongono sono queste: perché i nostri giovani preferiscono investire lontano dalla Sicilia? E’ più semplice farlo da un’altra parte anche da un punto di vista burocratico ed economico? Quesiti che abbiamo rivolto ad un giovane siciliano di 33 anni, trasferitosi in Lombardia nel 2006. Stiamo parlando di Mauro Montante, business partner di Ismo, società di consulenza e formazione manageriale con sede a Milano.
“In Sicilia abbiamo la tendenza a demolire – esordisce Montante -. Se un giovane ragazzo ha voglia di fare qualcosa inizia a sentirsi dire espressioni del tipo ‘lascia perdere, lo hanno già fatto, ma chi te lo fa fare’. Un fattore culturale che inevitabilmente ci caratterizza. Dall’altra parte c’è l’aspetto tecnico: probabilmente nelle regioni del Nord i giovani sono molto più seguiti dalle strutture tecniche. Ad esempio, se dovessi aprire una start up riesco ad avere un’interlocuzione con un ente locale e con la Regione la quale mette a disposizione uno sportello che mi guida per accedere ai bandi, cosa che in Sicilia, per quanto concerne la mia esperienza, è molto meno presente. Un esempio è il bando Resto al Sud, proclamato da vari governi negli ultimi anni. Un bando fatto veramente bene, che potrebbe aiutare tanti giovani e le imprese. Ma i numeri delle domande avanzate e di accesso sono sempre bassi perché si tratta di un bando complesso che non può essere semplificato”.
Quindi cosa manca per poter uscire da queste “sabbie mobili”?
“Uno sportello, una struttura di soggetti competenti che riescano ad aiutare le persone e veicolare i bandi a chi ha voglia di provarci, poiché ci sono diverse procedure da fare. Come ad esempio la presentazione di un business plan abbastanza articolato. Elementi che da solo un giovane non può fare ma necessita di un supporto. Mentre al Nord questa facilitazione c’è, al Sud si fa più fatica. Io però sono convinto che noi abbiamo un altissimo potenziale in termini di capacità umane e di territorio. La Sicilia dal punto di vista turistico potrebbe essere 100 volte superiore a quello che è oggi”.
Le imprese del Meridione possono essere competitive in questo periodo storico al pari di quelle settentrionali?
“Una domanda interessante, la risposta è sì ma è doverosa una distinzione. L’economia, e non solo quella siciliana, è cambiata. Quando parliamo di competitività d’impresa bisogna passare dalla logica di quest’ultima che lavora sul settore industriale che oggi è meno presente. Quindi oggi essere competitivi per me significa, da qui ai prossimi 20 anni, avere servizi e non più un impianto industriale produttivo. Accedere ai servizi vuol dire poterlo fare da qualsiasi parte del mondo. Se pensiamo solo a servizi online, tutto quello che è digitale, puoi trovarti da qualsiasi parte ma puoi essere assolutamente innovativo e competitivo. Oggi i colossi del mondo lavorano online. Non conta dove sei radicato geograficamente, pesano le idee e lo sviluppo delle stesse che si devono portare avanti. In questo noi abbiamo un limite, che è quello di non avere incubatori di idee. Il tema non è essere competitivi su tutto, ma decidere quale strada intraprendere da qui ai prossimi dieci anni e investire su tre-cinque settori che per noi sono, dal punto di vista dello sviluppo e delle possibilità, competitivi, ciò significa che l’accesso a quei settori è possibile da qualsiasi parte”.
Il QdS a riguardo, ha voluto ascoltare le considerazioni di Gero La Rocca, presidente regionale dei Giovani imprenditori di Confindustria, un ente strategico per lo sviluppo del benessere sociale di Isola e imprese.
Da un’indagine di Unioncamere è emerso che un’impresa giovanile su 3 chiude i battenti nei primi 5 anni di vita e di queste quasi la metà non supera il biennio. Come spiega questo fenomeno?
“Il tessuto economico vive a livello globale, ormai da anni, un clima di profonda incertezza che, in Europa, si è tradotta in un preoccupante rallentamento. Se questo è lo scenario, figuriamoci quale condizione di disagio possa vivere un giovane che vuole fare impresa in Sicilia. Da un lato i nostri giovani dimostrano straordinarie capacità, dinamicità e un alto livello di formazione, dall’altro, però, tutto questo si scontra con una realtà fatta di desertificazione economica e sociale, recessione, infrastrutture inadeguate, burocrazia lumaca, sacche di illegalità ancora troppo ingombranti. Noi, come Giovani imprenditori siciliani di Confindustria, da oltre un anno parliamo di competitività delle aziende nell’Isola. Ce ne siamo occupati nel nostro convegno di Catania e, più di recente, a Palermo, dove abbiamo chiamato a raccolta le sigle più rappresentative che hanno a cuore il futuro dei giovani. Siamo consapevoli, nostro malgrado, che oggi la figura del “giovane imprenditore” abbia molto in comune con quella dell’eroe. Ma quello che chiediamo non è di essere eroi, ma di essere normali e di competere in un contesto di normalità”.
La Sicilia non è la prima scelta per i giovani che vogliono creare un’impresa. Un imprenditore under 35 su 10 del Sud fa impresa al Centro Nord: perché la nostra isola non ha lo stesso appeal di altre regioni d’Italia?
“Non siamo attrattivi. E credo questo sia sotto gli occhi di tutti. È inaccettabile, ad esempio, che il Mezzogiorno abbia una quota di investimenti pubblici ben al di sotto del 34% del totale. Ed altrettanto inaccettabile è che, dopo quattro cicli di programmazione di fondi europei, la Sicilia non abbia fatto alcun passo in avanti significativo. È evidente che così non va. Manca totalmente il coordinamento tra gli enti amministrativi competenti chiamati ad elaborare una strategia capace di intervenire sui punti di debolezza (infrastrutture, burocrazia, accesso al credito, investimenti) e che si continui a subire la condizione di insularità come handicap senza alcun intervento compensativo. I buoni propositi non mancano e la recente nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza regionale lo dimostra. Il problema non è di certo rappresentato dalle parole. Occorre però riuscire a passare ai fatti con rapidità. E per questo serve muoversi in modo compatto, anche per accrescere il potere contrattuale nei confronti del governo centrale cui occorre chiedere una cura shock per Sicilia e Mezzogiorno, nel suo complesso. Questa visione comune è già una realtà sul fronte sociale, lo abbiamo dimostrato ampiamente a Catania e a Palermo, condividendo una visione chiara con sindacati, associazioni, movimenti politici e civili animati da giovani”.
Confindustria ha in progetto un piano per incentivare i giovani imprenditori a creare una fiorente attività in Sicilia?
“Noi siamo in prima linea, perché le sorti della nostra terra dipendono dalle giovani generazioni. È per questo che abbiamo sottoscritto qualche mese fa un patto generazionale con il viceministro Cancelleri e con il governatore Musumeci, impegnandoci, sin da subito, a fare la nostra parte: assumere più collaboratori under 40, puntare con decisione alla sostenibilità ambientale delle nostre imprese, contribuire affinché i piani di formazione siano sempre più allineati con le esigenze delle imprese. Ci aspettiamo che anche le Istituzioni mantengano gli impegni presi. Il primo reagente che può bloccare la pericolosa reazione a catena della recessione è la fiducia. Oggi mancano segnali in tal senso. Siamo certi, però, remando tutti nella stessa direzione si possano creare reali prospettive per il futuro dei giovani siciliani”.
Fondamentale in questo scenario è il ruolo degli incubatori di imprese, i quali forniscono una vasta gamma di servizi di supporto e non solo alle imprese. A tal proposito abbiamo contattato Monica Guizzardi del Consorzio per l’Applicazione della ricerca e la creazione di aziende innovative.
Il servizio completo con l’intervista uscirà nella giornata di domani.