Musica leggera

Giovanni Caccamo, la forza della Parola espressa attraverso la musica

“Parola” è il nuovo album di Giovanni Caccamo, prodotto da Ala Bianca e distribuito da Warner Music Italia.

Dopo il successo di “Anteprima Parola Tour” di quest’estate con Michele Placido, Giovanni Caccamo, affermatosi per essere uno dei giovani cantautori più profondi ed eleganti della musica italiana, torna sulla scena discografica con un progetto unico, che mette al centro l’importanza della parola, dialogo intergenerazionale tra anime e voci, suoni acustici ed elettronica.

“Parola” è un dialogo tra prosa, poesia e canzone, nel quale l’artista assume un originale ruolo di «testimone e ponte di storie».

Per raccontare al meglio questo progetto sinestetico, l’artista ha ideato tre eventi speciali in tre Musei di straordinaria bellezza: Gallerie d’Italia – Piazza Scala di Milano (16 settembre), il Museo di Palazzo Vecchio a Firenze (6 ottobre) e il Museo Maxxi a Roma (11 ottobre).

“Parola” diventerà anche uno speciale prodotto da Sky Arte in onda nell’autunno 2021, un racconto in immagini ispirato alla creazione e realizzazione di questo eccezionale progetto, ricco di backstage e testimonianze di alcuni dei protagonisti.

In un periodo storico in cui la parola è corrotta a causa di inglesismi, neologismi ed emoticon, il nuovo album si intitola “Parola”. Perchè questa scelta?

“Questo disco raccoglie un appello di Andrea Camilleri che, in una sua intervista, ha detto “Stiamo perdendo il peso e l’importanza della parola. Le parole sono pietre e possono trasformarsi in pallottole”. Poi si rivolse ai giovani chiedendo loro di far ripartire un nuovo umanesimo della parola.

Mi trovavo a dover decidere dove gettare l’amo del mio nuovo disco e ho deciso, nel mio piccolo, di raccogliere questo appello e di creare un disco che si chiamasse proprio “Parola” in cui ogni canzone fosse ispirata ad un testo di letteratura italiana, straniera o contemporanea e dichiarare le fonti ossia i testi protagonisti di questo dialogo prima di ogni canzone.

Il disco è un viaggio tra testi e prosa. I testi sono interpretati da protagonisti d’eccezione che sono legati agli autori o ai testi in oggetto”.

La cover dell’album ricorda un quadro di Modigliani perchè, se non erro, i suoi occhi non sono visibili.

“Il significato della cover sta nella mia volontà di non voler il mio viso protagonista perché, di fatto, è come se avessi ricevuto la luce di tante storie diverse e, in qualche modo, l’avessi assorbita e riconvertita in nuova musica.

Tengo in mano un mazzo di tasti di pianoforte e fiori. È come se mi fossi messo al servizio della musica ricevendo la luce degli altri che ho riconvertito in canzoni”.

È un album che sa di eternità. Ha impiegato tre anni per realizzarlo: da dove è partito?

“Prima di tutto mi sono tuffato nella lettura e nella ricerca di testi e contenuti, poi ho selezionato quindici testi. Su questi testi, ho scritto altrettanto canzoni. Da queste canzoni ho scelto quelle definitive. In seguito, ho identificato la voce corrispondente.

Oltre ogni aspettativa personale, è andato bene perché i nomi sono quelli che speravo accettassero questo viaggio. È stato straordinario perché è esattamente come l’avevo sognato”.

Il disco si arricchisce di molte collaborazioni. Perché proprio loro?

“I nomi sono legati ai testi. Nel caso di Willem Dafoe che ha interpretato “I’m that” di Franco Battiato è perché ho conosciuto Dafoe grazie a Battiato qualche estate fa a Scicli. Erano molto amici e mi sembrava la persona perfetta per poter dare voce a queste parole inglesi, tra l’altro.

Michele Placido e Gesualdo Bufalino avevano un’amicizia e una stima reciproca già da tanti anni. Aleida Guevara sembrava l’unica insieme ai fratelli a dare il giusto peso alle parole del padre per questa lettera ai figli.

Liliana Segre ha scritto e letto i suoi stessi pensieri e la stessa cosa Patti Smith con la figlia. C’è sempre una connessione tra il testo e l’interprete”.

C’è qualche aneddoto che le è rimasto più impresso di queste collaborazioni?

“Sicuramente la passeggiata a Parco Sempione con Liliana Segre. Questo per me è stato un momento di straordinaria importanza. Indissolubile”.

Quanto c’è in questo album dei discorsi e del tempo trascorso con Franco Battiato?

“L’apertura del disco è proprio con Aurora, canzone ispirata al testo “I’m that” di Battiato e Sgalambro proprio perché Battiato è il primo da cui ho ricevuto tante parole preziose che sono state per me fonte di ispirazione. C’è tanto e ci sarà sempre tanto nel mio cammino artistico”.

Parliamo delle canzoni. In “Le parole hanno un peso” canta “la lentezza del tempo è la cura per me”, andando in controtendenza ad un mondo che va veloce…

“Secondo me è l’unica strada possibile. Finché rimarremo alienati da questo tempo così veloce, non potremo mai avere accesso alle cose più preziose della vita che poi sono quelle che diamo per scontate. La pandemia ci ha dimostrato che anche le cose più ovvie come la libertà non ci sono dovute”.

Sempre nella stessa canzone, dice: “Ascoltare ci salva, la paura è una gabbia”. Sono parole meditate durante la quarantena?

“Questa canzone è stata scritta prima, ma rinnovo il significato di questo testo. L’ascolto così come il silenzio e il tempo sono tutti elementi fondamentali per poter vivere da uomini e non da macchine. Il virtuale è sicuramente una risorsa, ma è anche un pericolo.

La paura è una gabbia. Ci sono determinati contesti in cui la paura è salvifica, ma la paura di vivere, di osare o di credere in un sogno o in un’ambizione è un ostacolo e non una risorsa”.

Ha accennato alla tecnologia. Qual è il suo rapporo con i social? Teme che l’arte possa essere inghiottita dal meccanismo più followers più visualizzazioni più valore?

“Penso che tutto dipenda dalla capacità di prescindere da queste cose che sono cicliche. C’è stato un tempo in cui MySpace era la piattaforma più in auge e ha lasciato il posto a YouTube, a Facebook e poi a Instagram e TikTok.

La comunicazione si evolve ed è imprescindibile che accada. Allo stesso tempo l’esercizio dell’artista è quello di rimanere focalizzato sulla propria sequenza. È naturale che questi mezzi di comunicazione possano essere modi per veicolare ciò che creiamo. Ci vuole un giusto equilibrio”.

In “Aurora” canta che ha capito tante cose. Me ne rivela qualcuna?

“Ho capito che uno dei nostri fardelli è la concezione della morte. Da sempre siamo portati a concepire la morte come un nemico. Invece, penso che la morte sia parte della straordinarietà della vita e del suo valore. Perché i diamanti sono così preziosi? Perché ce ne sono pochi in giro. Così come l’oro. In realtà tutto ciò che è limitato ha un valore più alto e quindi anche la vita”.

Nell’album vi è una canzone dal titolo “Evoluzione”. Per Giovanni Caccamo, oggi, l’evoluzione con cosa fa rima?

“Con umanità. L’evoluzione di oggi è un ritorno alla nostra umanità nel senso più analogico del termine”.

L’album si chiude con “Perditi con me”. Qual è il valore del perdersi per lei come persona e artista?

“Perdersi è come un po’ abbandonarsi a qualcosa che non si conosce. A volte, proprio perdendosi ci si ritrova in modo nuovo”.

Al disco seguirà un ritorno al live. Cosa si augura?

“Quest’estate abbiamo avuto il grande privilegio di partire in tourneè facendo dodici date in dodici anfiteatri meravigliosi italiani. È stata una boccata d’ossigeno straordinaria. Mi auguro che il live possa tornare a viversi e a raccontarsi come un luogo sicuro perché di fatto lo è più di tanti altri contesti. E mi auguro possa esserci una regolamentazione serena per poter assistere ai concerti consentendo a tutti di vedere un live in serenità e agli addetti ai lavori di tornare a delle capienze che possano essere sostenibili per la messa in scena degli spettacoli”.

Sandy Sciuto