Nell’ultimo mese dell’anno, come di consueto, siamo portati a fare un bilancio degli accadimenti che hanno interessato le nostre esistenze, un inventario, il più delle volte malsano, di quanto questi eventi, seppur distanti dalla nostra quotidianità abbiano potuto coinvolgere la nostra emotività.
Beh, proviamo a tornare indietro di qualche mese, non di più: è l’8 settembre, nei social media vi sono miriadi di post che rivelano la notizia della morte della regina Elisabetta II. E siamo sorpresi, sbalorditi, perché, in qualche modo, non lo credevamo possibile. Consapevoli dell’autoinganno, generato dalla visione dell’incontenibile attività febbrile e dell’inossidabile energia vitale messa in visione dalla sovrana, in 70 anni di conduzione del Suo regno. In fondo, lo credevamo anche noi italiani, che il presidente Andreotti avesse potuto conquistare, per chissà quali meriti divini, una sua cifra d’immortalità.
Elisabetta II, Elizabeth Alexandra Mary è – ne siamo certi…( è il nostro naso a dircelo, si vistoso, ma che ci riempie di enormi gratificazioni!) – e continuerà ancora a lungo ad essere, una delle persone più note al mondo, ad ogni latitudine del pianeta, anche se, bisogna dirlo, non tutti i suoi sudditi, ed i suoi estimatori, hanno potuto godere dell’immenso privilegio di poterle stare accanto, seppur per qualche fugace momento. La sua immagine, al contrario, risulta fortemente impressa nella mente della gente: i suoi lineamenti, i suoi occhi, i suoi capelli e, perfino i suoi insoliti e, sempre diversi, cappelli.
Al contrario di altri soggetti celebri ed estremamente popolari, la figura della Queen si propaga intorno a noi, potremo dire, sin quasi a poterci ingabbiare, con il Suo allure magistrale, con la Sua malìa, con il carico prezioso ed insondabile dei Suoi misteri. Una gabbia costituita da diverse replicazioni, riproduzioni visive, generati da dispositivi quali video, fotografie, illustrazioni, meme, adesivi per il finestrino dell’auto, tazze, magliette, calzini, borse e matite. Insomma, tutto ciò che ammanta la Queen di mistero e di rifulgenza, alimenta un delirante, ed estremamente proficuo, delirante merchandising in grado di muovere economie consistenti nell’intero regno britannico.
E poi, nell’era della riproducibilità tecnica vale ancor più l’assioma, inesorabile, che “l’Arte è per sempre!!”…, frase che qualche volta suona persino minacciosa, quasi fosse una inestirpabile condanna.
“Viviamo in una cultura dell’immagine, in un mondo in cui la nostra esperienza delle cose, di ogni cosa, si fonde, si sovrappone alla nostra esperienza delle immagini delle cose riprodotte tecnologicamente”, ed è proprio dalle preziose considerazioni di José Jiménez, che possiamo comprendere il processo di memorizzazione e di idealizzazione che avviluppa l’esistenza terrena, ed ultraterrena, di un soggetto noto, e questo vale ancor più nella nostra era dell’accesso. Possiamo allora affermare, senza alcun margine d’errore, che l’immagine della regina Elisabetta II, così come quella di altri vistosi divi del nostro tempo, è quindi intrinsecamente e, strettamente, legata a filo doppio al mondo del design e alla sua infinita riproducibilità.
Ed accade pure talvolta, che l’allure che avvolge la cifra divistica di un personaggio che diviene protagonista, negli annali della storia del mondo e, persino in vita, come è accaduto per il gigantesco appeal, emittente e risonante, generato dalla sovrana, sostenuto da un potenziale energetico così grande, da poter indurre, coinvolgere, i designer della platea mondiale, a dedicarle molteplici operazioni di progetto. Uno di questi, che ci è subito balzato alla mente, è quello connesso alla generazione della devota considerazione del suo Regale Culo da parte dei suoi sudditi, e non solo: come ben sapete, Sua Altezza Reale era una appassionata esperta di meccanica, nella fattispecie di motori di autoveicoli e camion di piccola stazza, ed è noto che tale passione la vide coinvolta come volontaria durante la Seconda Guerra Mondiale proprio nell’assistenza e nella manutenzione ai veicoli militari impegnati nel conflitto. Ebbene: a ragione di ciò, ed in ossequio alla sua dedizione a tale avvincente mondo dei motori; alla sua passione per la guida sportiva, specie nella campagna inglese, talvolta in compagnia dei suoi fedelissimi cagnolini, a scorrazzare durante escursioni con soste e picnic in location straordinarie, raggiungibili agevolmente soltanto alla guida di affidabilissimi Defender, che l’azienda produttrice Land Rover, decide di creare un meccanismo, che possa consentire alla sovrana(…e poi, a seguire, a cascata, a tutti i suoi sudditi decisi ad orientarsi all’acquisto dell’intramontabile modello Defender, ora presente sul mercato dopo una operazione di revisione integrale nelle sue fisionomie e nelle sue prestazioni, dopo ben 70 anni circa!), con grande semplicità e con un impegno energetico minimo, di poter rimuovere il piano della seduta del veicolo, per poterlo poi riporre sulla terraferma e potervi appoggiare il proprio fondoschiena, ben distante ed opportunamente isolato da ogni tipo di disagio qualsivoglia.
E’ il design che, una volta tanto, decide di non partire da esigenze che provengono dal basso, ma addirittura dalla fascinazione proveniente da una protagonista assoluta ed irraggiungibile della storia, proprio come accade per ciò che è sacro e dunque inafferrabile, incommensurabile, in qualche modo inviolabile. Per potervi poi fare ritorno, con la restituzione di un contributo consistente alla fabbrica delle conquiste degli elementi di servizio e d’uso della civiltà umana, che viene esteso e donato alla comunità planetaria tutta, e che ne denota e descrive le potenzialità di intervento della preziosa disciplina di progetto. Attività, quelle messe in campo dalla disciplina sapiente del design, sostenute tutte dall’esercizio di una duttilità e da una immensa capacità di poter cambiare direzione numerose volte durante il percorso di solvimento delle problematiche emerse, mediante un approccio di metodo che ne consente la possibilità di poter poi poter fare ritorno alla inestinguibile missione etica iniziale, sempre agganciata all’esercizio della professione, con una scorta considerevole di nuove conquiste, nuove risorse, atte a poter migliorare sempre più, lo scenario ove alloggiano le nostre sonnacchiose esistenze.
Un primo esempio che possiamo fare, sulla sterminata, ed ampiamente consolidata, pervasiva, operazione di diffusione ed ancoraggio nelle nostre coscienze, della immagine della sovrana, nello scenario che accoglie le nostre esistenze, la nostra indolente o talvolta nevrotica quotidianità, capace di poter diffondere con enorme ridondanza l’identità della nostra protagonista, è certamente legata alla operazione di circolazione di una mole considerevole di dispositivi d’uso, quali monete e banconote, che ne accolgono il suo ritratto. Esse sono, se ci pensate bene, osservandone ogni fase della loro generazione, un vero e proprio progetto di design. Si, perché tengono conto della importanza delle traiettorie di scelta nella realizzazione della componente grafico-visiva; della serialità e della loro propagazione, in ossequio al parametro indissolubile delle pratiche proprie dei processi creativi della disciplina del design, che è quella proprio legata all’esercizio dell’uso. Le monete possiedono formati, materiali e disegni specifici e, – simultaneamente ne diffondono i simboli del potere che ad esse risulta saldamente, inesorabilmente, agganciato – contribuendo alla genesi ed al consolidamento dei riti e dei miti collettivi, realizzando, una sorta di immagine coordinata di un intero Paese. E’ importante sottolineare, come le raffigurazioni sulle monete possano, non solo avere un funzione simbolica, ovvero quella di far trapelare, in maniera sottile e pervasiva, una sorta di potere sociale, ma anche di poter consentire ad un’intera comunità di riconoscere all’interno del loro modus vivendi, in uno scenario esistenziale fatto di azioni concrete e reali, quel dato personaggio, proprio grazie a quei disegni incisi, riprodotti, su di esse. La riproduzione tecnica, ridondante, risonante, emittente, consente la trasformazione della regale figurazione di Elisabeth II, mediante i sistemi di comunicazione massmediatica propri dell’era dell’accesso, in una figura idealizzata, onnipresente ed immortale.
Re Carlo III è diventato Re del Regno Unito nel mese di settembre, dopo la morte della madre e, sappiamo bene come egli nutra, sin da giovane, un forte interesse per il design e l’architettura. Ed è a ragione di ciò che ne abbiamo registrato le consuete modificazioni alla oculata e, mai trascurata, immagine dell’erede al trono, che racconta ogni cosa possa essere riconducibile alla famiglia reale inglese, quale è, ad esempio, il monogramma nuovo di zecca, che andrà a sostituire l’ormai obsoleto codice della defunta madre. Ricordiamolo, esso consisteva nelle lettere ‘E’ e una ‘R’ postesu entrambi i lati del numero ‘II’, sormontate dalla Real Corona di Sant’Edoardo, realizzata per il Re Carlo II nel XVII secolo, immagine allora prodotta da Sodacan, un ensemble di creativi che ha effettuato numerosissime operazioni di re-design di monogrammi governativi, specie dei paesi aderenti al Commonwealth.
Per Re Carlo III è stato adesso mantenuto il regale font, mentre la corona adottata a sormontare le lettere è quella dei Tudor, indossata dai reali inglesi sin dal regno di Enrico VIII ed andata perduta nel 1649, anno in cui la monarchia fu abolita, e già presente nei monogrammi dei reggenti Edoardo VII, Giorgio V, Edoardo VIII e Giorgio VI. Le lettere intrecciate della cifra di Re Carlo III evocano invece le monografie di alcuni monarchi che lo hanno preceduto, quali Giorgio VI, Edoardo VII e la regina Vittoria, tutti regni che avevano adottato monogrammi ufficiali con lettere collegate. Sappiamo già che il nuovo/vecchio sovrano è uno strenuo e, persino estremo difensore dell’ambiente e del patrimonio storico-monumentale ereditato dal passato, ed è proprio alla luce di questi segnali che speriamo che l’analisi iconografica, non possa convincerci della comparsa di una adozione a traiettorie atte a poter far emergere, ricomparire, pratiche e sistemi di governo che possano farci ripiombare in un conservatorismo oscuro e dal respiro afasico. Dunque, per farci forza, quasi fosse un mantra benefico ed augurale, continueremo a cantare a squarciagola “God Save the Queen!!!”, nella versione Punk della canzone dei Sex Pistols però!!!…..Auguri a tutti voi, DESIGNPeople.
(* con Mariacarmela Scrudato)