Editoriale

Il Governo? Barnum di 64 elementi

Un Primo ministro, ventiquattro ministri (di cui nove senza portafoglio), otto viceministri, trentuno sottosegretari, per un totale di sessantaquattro membri di questo Governo, numero uguale a quello precedente.

Però c’è una sostanziale differenza e cioè che Giorgia Meloni aveva detto che questo sarebbe stato un Governo di discontinuità con quelli che lo hanno preceduto.
Ovviamente la prima discontinuità doveva verificarsi con una congrua diminuzione dei componenti del Gabinetto. Invece la fame spartitoria dei partitocrati non ha avuto limiti, con la conseguenza che il numero dei componenti è rimasto inalterato.
Scorrendo l’elenco delle funzioni dei nominati, ci si accorge che se molti di essi non vi fossero stati inclusi, nessuno se ne sarebbe accorto.
Questa mania di aumentare a dismisura le poltrone è il solito modo per accontentare questo o quello, con un dispendio enorme di energie e di risorse finanziarie, perché occorre un numero notevole di dirigenti e dipendenti per i bisogni di ciascuno di questi componenti.

Il presidente del Consiglio nella sua amministrazione ha fra i cinque e i seimila dirigenti e dipendenti. All’interno vi sono alcuni ministri senza portafoglio, viceministri e ben cinque sottosegretari.
Ognuno dei componenti del Governo ha bisogno di un’assistenza oscillante fra cinque e dieci persone (in qualche caso anche di un centinaio); ha bisogno di spazi, normalmente in palazzi in affitto a canoni altissimi; ha bisogno di tutte le spese di esercizio; ha bisogno di auto blu con autisti, di scorte e quant’altro.

Tutto questo costa enormemente all’Erario e cioè ai cittadini che pagano le imposte. Un dispendio di risorse che potrebbe essere tranquillamente ridotto alla metà senza intaccare il funzionamento dei ministeri e delle burocrazie sottostanti.

È proprio dalla testa che bisogna partire poiché sul piano deontologico è la testa che deve dare l’esempio a tutti. Non si può chiedere di stringere la cinghia se chi lo chiede per primo non lo fa.
La questione è pacifica, non si vede chi possa eccepirla.

Il guaio peggiore del Barnum governativo è che molti provvedimenti hanno bisogno del placet di diversi ministri o dei loro vice o dei loro sottosegretari; il che allunga enormemente i tempi e complica gli iter di approvazione, con ritardi macroscopici sull’attuazione dei programmi e delle decisioni governative.
Mentre sarebbe indispensabile tagliare i tempi, oltre che tagliare le spese, per dare efficacia alle decisioni con applicazioni tempestive, in modo da conseguire gli obiettivi nei tempi previsti da rigorosi cronoprogrammi.

Insomma – l’abbiamo scritto più volte – il Governo dovrebbe funzionare come un’orchestra di sessantaquattro elementi, in cui il direttore sappia dirigere, mentre ogni “professore”, alias ministro, viceministro o sottosegretario non stoni mai, non vada fuori dai binari della musica-organizzazione e mantenga il ritmo secondo un metronomo invisibile che batte il tempo inesorabilmente.

L’orchestra-Governo funziona bene ed è armonica se il suo direttore è rigoroso e implacabile, cioè rileva qualunque anomalia, anche piccola, nell’armonia generale. Il direttore-presidente del Consiglio ha il dovere di far funzionare tutta l’orchestra in maniera esemplare, cacciando quei “professori” che non sono all’altezza del loro compito, che è quello di servire presto e bene i cittadini.

In altre parole, occorre che Giorgia Meloni e i suoi sessantatré “professori” siano bravi e dimostrino non solo ai loro elettori, ma a tutti gli italiani, che è stato un bene avere ricevuto il suffragio dei votanti, sconfessando così chi sostiene che il merito sia un peccato anziché un pregio.

Nell’epoca in cui sta per essere varato un aereo supersonico da cento posti – che percorrerà la tratta Londra-New York in appena ottanta minuti a una velocità superiore ai 2.100 chilometri – non è possibile che il Governo vada a passo di lumaca e che impieghi tempi incalcolabili per fare pervenire al territorio ed ai cittadini le proprie decisioni.