Inchiesta

Grandi centri commerciali, la caduta dei giganti. Per i piccoli negozi il Covid è un’opportunità

Effetto crisi coronavirus, per i centri commerciali in Sicilia arriva la grande mazzata. Forse uno dei pochi segmenti che nella crisi pre-virus di tipo economico-finanziario, che allo stesso modo ha investito il tessuto produttivo mondiale, almeno in Sicilia riusciva a reggere resistendo sul mercato. Invece questa emergenza ha finito per spazzare tutto, anche quel poco di economia che, piaccia o no, aveva continuato a dare segni di vitalità.

Lo dicono oltretutto gli stessi addetti ai lavori che, seppur tenendosi abbottonati sulle cifre, hanno comunque evidenziato che nel 2019 il fatturato aveva confermato i numeri dell’anno precedente. Un gran risultato se si considera quel che è successo nel resto d’Italia dove, al contrario, c’è stato un crollo verticale di questi colossi.

“Abbiamo chiuso lo scorso anno con 7 milioni di presenze – afferma il direttore del centro commerciale del Conca d’oro di Palermo, Antonio Biagianti -, mentre la media nazionale certificata dal Cncc, il Consiglio nazionale dei centri commerciali, parla di un -9%. Direi che esserci attestati alle stesse identiche presenze vuol dire aver fatto molto bene. I fatturati sono sempre sullo stesso valore del 2018, ci attestiamo attorno a 100 milioni di euro l’anno. A livello occupazionale non abbiamo il termometro perché non siamo noi che facciamo le assunzioni, non sappiamo all’interno dei punti vendita quali siano stati i passaggi”.

Il Cncc è un’associazione trasversale che riunisce in un unico organismo tutti i soggetti privati e pubblici collegati, a vario titolo, all’industria dei centri commerciali, dei parchi commerciali e dei factory outlets.

La Sicilia, secondo i dati resi noti dallo stesso organismo, conta 48 centri commerciali, vale a dire quasi il 4% del totale nazionale e quasi il 10% del totale del Sud Italia. Un’industria che quindi ha funzionato prima della pandemia.

Ma nel nuovo decreto appena emanato dal governo nazionale non c’è spazio per la riapertura a pieno regime dei centri commerciali. Una grande delusione perché la grande distribuzione si attendeva almeno la riapertura dei punti vendita non collegati alla ristorazione ed invece nulla.

Non l’ha presa bene sicuramente il Cncc che proprio nei giorni scorsi aveva studiato delle rigide linee guida per permettere la riapertura in sicurezza di quasi tutti i punti vendita all’interno delle strutture: “Tra le varie disposizioni individuate – scrive in una nota l’associazione – l’organizzazione di percorsi obbligati con apposita segnaletica interna ed esterna a partire dai parcheggi, per consentire una distribuzione ottimale dei flussi di persone in entrata e uscita, ma anche all’interno delle gallerie e in coda, all’esterno dei negozi, monitorando in tempo reale il numero di clienti presenti all’interno dell’area commerciale, nel rispetto di una regola che si propone di garantire 10 metri quadri per persona”. Erano stati anche previsti dei termoscanner agli ingressi per rilevare la temperatura degli utenti.

Che i centri commerciali dell’Isola abbiano retto sino a prima dell’emergenza Coronavirus è confermato anche da altri grandi centri commerciali. Rimanendo a Palermo, anche “La Torre” evidenziava il trend positivo: “Non possiamo fornire dati perché sono sensibili della società – precisa il direttore Tommaso Brunetti -, con orgoglio però posso solo dire che abbiamo anche superato le nostre aspettative. Il 2019 è andato bene, abbiamo aperto altri punti vendita. A livello occupazionale non abbiamo tutti i dati anche perché non attiene al controllo della nostra società, grosso modo comunque c’è una conferma numerica. La credibilità del centro ha evidentemente funzionato”.

Ora però l’emergenza Coronavirus rischia di mettere anche questo segmento in ginocchio. Ne sa qualcosa il centro commerciale “I portali” di San Giovanni La Punta, nel catanese, che si ritrova con una fase espansiva totalmente bloccata: “Sulle cifre non mi esprimo – precisa la direttrice Elisabetta Romeo – ma è andato bene nel 2019. A parte la crisi che ha colpito uno dei nostri gruppi, per il resto nessun tipo di flessione. Il 2020 era partito anche meglio, il primo mese e mezzo abbiamo registrato un importante incremento delle presenze. Il fatturato è sullo stesso livello di presenze nel 2019. Avevamo trattative con operatori nazionali in fase di ricommercializzazione della struttura. Un importante progetto di ampliamento, abbiamo riorganizzato comparti merceologici e purtroppo in questo momento ci siamo dovuti fermare. Già l’iter era partito nel 2019 ed aveva coinvolto tutta la nostra struttura, ma nel dettaglio non posso ancora parlarne. Stavamo raccogliendo i frutti in questo 2020, tanti contratti firmati ma purtroppo dobbiamo posticipare le aperture”.

Francesco Picarella (Confcommercio) e Vittorio Messina (Confesercenti) analizzano lo scenario

Altrove si sta cominciando a rivalutare i centri storici e le piccole botteghe
I dati tracciati per la Sicilia sono realistici. Parole delle più importanti sigle che monitorano il mondo del commercio all’ingrosso e al dettaglio. Ma con un distinguo: la Sicilia è come sempre “in ritardo con le tendenze” che si registrano al Nord Italia. Ciò vuol dire che, a detta di Confesercenti e Confcommercio, la crisi si manifesterà: “Altrove si stanno cominciando a rivalutare i centri storici e le piccole botteghe – afferma Francesco Picarella, presidente di Confcommercio Sicilia – e lo stesso accadrà anche qui in Sicilia. La tendenza è questa ovunque e qui avverrà la stessa cosa con il solito ritardo che contraddistingue questa terra”.

“I dati siciliani sono reali – aggiunge Vittorio Messina, presidente di Confesercenti – ma si giustificano con la tendenza che riporta in ritardo dalle nostre parti quanto avviene altrove. Già da tempo infatti, ora negli Usa dove sono nati, poi in altri Paesi e anche nel resto d’Italia, i centri commerciali non sono più in buona salute e molti chiudono”.

Ora però tutto è cambiato: l’emergenza coronavirus, scoppiata nei primi giorni dello scorso mese di marzo, ha totalmente cambiato lo scenario. Questa potrebbe anche essere una sorta di ripartenza e di possibile rilancio per le piccole attività, sopraffatte in questi anni dalla potenza della grande distribuzione: “Oggi – rileva Messina – anche i piccoli supermercati di quartiere si sono attrezzati con la consegna a domicilio e forse, rispetto ai tempi normali, stanno registrando un incremento delle vendite. Si dice che quando si tornerà alla normalità niente sarà come prima ed è probabile che il desiderio di potersi ritrovare in spazi non artificiali possa contribuire al rilancio dei centri storici e ai quartieri residenziali premiando le attività commerciali che vi sono ubicate”.

“Si riparte sicuramente da 0-0 – è la metafora calcistica usata dal numero uno siciliano di Confcommercio – e nulla si può pronosticare. Una profonda crisi è sempre un’opportunità, a voler vedere il bicchiere mezzo pieno”.

Nonostante la crisi i parchi commerciali hanno un quid in più
Nomisma: ricadute sociali. Sono centri di aggregazione

Outlet, centri e parchi commerciali italiani attivano una filiera che vale 139 miliardi di euro ed ha un impatto di 780.000 posti di lavoro.

I numeri arrivano dall’ultimo report del Ccnc che, nonostante il calo di fatturato a livello nazionale, tende a confermare quanto sia forte nell’economica siciliana e italiana questo segmento. Nel 2019 le 1.254 strutture presenti in Italia (1.020 delle quali sono centri Commerciali, 181 parchi commerciali, 30 outlet center, 23 leisure center) hanno fatturato 71,6 miliardi (al netto di Iva), pari al 4% del pil italiano, occupato 587.000 lavoratori e dato un contribuito al gettito fiscale per 27,8 miliardi di euro.

Ma queste mega strutture della grande distribuzione sono solo una forza economica o c’è anche di più? A sentire Nomisma dietro un centro commerciale c’è anche un perché sul piano sociale. Dallo studio condotto dalla società di consulenza, composta da istituzioni finanziarie e gruppi imprenditoriali italiani ed esteri, emerge che i poli commerciali si configurano sempre più come social hub, luoghi di aggregazione e socializzazione in cui trascorrere il tempo libero e fruire di servizi accessori.

Per l’83% dei frequentatori infatti, il centro commerciale diviene un luogo in cui trascorrere il tempo libero, il 38% usa anche ristoranti, pizzerie, fast-food, tavole calde presenti nel centro e 2 regular user su 10 si recano al centro commerciale spinti da motivazioni di socializzazione (incontrare amici o partecipare ad eventi). Inoltre il 69% degli italiani ha frequentato un centro commerciale durante le sue vacanze e per il 42% la visita a queste strutture o ad outlet lontani dal luogo di residenza è addirittura la motivazione principale per cui si organizza un viaggio o una gita in giornata.