Vi sono quattro bufale che riguardano la guerra ucraina. La prima si riferisce a Putin, il quale, preso per la gola, sarebbe anche disponibile a sganciare bombe atomiche e provocare quindi la terza guerra mondiale. Questo sarebbe il comportamento di un pazzo, ma il presidente russo non lo è affatto.
Seconda, che l’esercito russo avrebbe utilizzato armi biologiche. Anche questa è un’informazione non confermata.
La terza riguarda il fatto che l’esercito russo avrebbe utilizzato bombe a grappoli. Neanche per questa vi è conferma.
Quarta ed ultima, che la Cina sarebbe pronta a fornire armi alla sua alleata russa. Falso.
Non vi è alcun dubbio nel ritenere non verificate le quattro informazioni elencate perché non vi sono le fonti ufficiali che le hanno diffuse né vi è alcun riscontro da qualche altra parte. Evidentemente c’è qualcuno che pesca nel torbido e che ha interesse a che questa guerra continui, anzi coinvolga ulteriori parti.
Chi sono i soggetti che possono avere questo interesse? Evidentemente i produttori di armi, che non possono tollerare la pace nel mondo perché se “scoppiasse”, potrebbero chiudere i battenti.
Su questo argomento, stona l’intenzione del governo italiano di aumentare le spese per gli armamenti e per le forze armate, da venticinque a trentotto miliardi. Tredici miliardi in più che, in periodo di vacche magre, dovrebbero essere utilizzati per lo sviluppo e per la transizione ecologica.
Ma torniamo alla questione ucraina. Tutti i media sociali, televisioni, radio e quotidiani si occupano degli emigrati ucraini e della loro accoglienza, pompando sulle cifre che non trovano conferma. Si dice che siano circa tre milioni, qualche altro con la palla di vetro sostiene che potranno diventare sei. Ma tutti questi non tengono conto della realtà.
Qual è? Gli ucraini che sono espatriati sono donne, bambini e anziani, gente che ha lasciato le proprie case e i propri uomini, armati per difendersi dall’esercito e dall’aviazione russa. Quindi non vi è dubbio che firmata la pace, essi ritorneranno in patria.
Quando questo fatto avverrà, e noi pronostichiamo entro la fine di questo mese, l’apparato dell’assistenza europeo, compreso quello italiano, dovrà chiudere bottega, con buona pace di tutti quelli che da questa attività traggono profitti.
Non abbiamo sentito alcuna voce da organi di informazione di ogni tipo riguardo quello che succede quando si organizzano attività assistenziali. Indispensabili, senza dubbio, ma che comportano attività straordinarie che vanno finanziate copiosamente, senza alcun controllo, con prezzi dei servizi esorbitanti da quelli ordinari e quindi anche con lauti guadagni nascosti.
Non che quando capitano fatti come quello ucraino non si debba assistere i bisognosi. Tutt’altro. Però l’informazione vera dovrebbe rapportare all’opinione pubblica “tutto quello che c’è sotto”, come noi facciamo da oltre quarant’anni.
Non è possibile che l’informazione, almeno nel nostro Paese, sia a senso unico: prima, da mane a sera Covid; ora, da mane a sera, Ucraina.
L’informazione prevista dall’articolo 21 della Costituzione, deve “illuminare” i cittadini su ciò che accade. Ma perché essa sia in regola con il precetto costituzionale, deve essere completa ed obiettiva. Perché sia completa e obiettiva, va verificata – fatto per fatto – da almeno due fonti e va controllato che le stesse fonti siano autorevoli e non di parte.
Sembra che questo lavoro certosino di controllare la verità delle informazioni non faccia più parte del bagaglio di coloro che la esercitano, i quali trovano più comodo spararle a destra e a manca, anzi accentuandone la portata per colpire l’opinione pubblica, anziché informarla con moderazione, equilibrio e saggezza.
Quando ci riferiamo agli operatori dell’informazione, non indichiamo solo i giornalisti iscritti all’Albo, a qualunque titolo, ma anche i conduttori radio-televisivi, i gestori dei media sociali di ogni tipo e tanti altri che non hanno la più pallida idea dei principi etici indispensabili per dare la giusta informazione.
Dispiace scrivere quanto precede, ma abbiamo il dovere di farlo a chiare lettere.