ROMA – “Lo Stato italiano è inadeguato nella tutela delle donne che denunciano”.
Con queste parole, pronunciate, lo scorso 7 aprile, nella sentenza emessa dalla Corte Cedu (Corte Europea Dei Diritti Dell’uomo) nel caso Landi contro Italia che condanna, ancora una volta, il nostro paese in un caso di violenza domestica in cui a perdere la vita per mano del padre è stato uno dei figli, si scrive una pagina importante nella lotta contro la violenza domestica e la vittimizzazione delle donne.
I fatti risalgono al settembre del 2018 e fanno riferimento ad Annalisa Landi e del piccolo Michele, accoltellato a Scarperia, in provincia di Firenze, dal padre, Niccolò Patriarchi, mentre era in braccio alla donna che tentò di salvare il bambino ricevendo lei stessa numerose coltellate. Presente al momento dell’omicidio anche l’altra figlia di 7 anni della coppia che si salvò perché la madre le fece da scudo.
I litigi in quella casa erano noti alle forze dell’ordine, che più volte erano intervenute per sedare la situazione. Dai fatti riportati nella sentenza emerge che prima del giorno della tragedia la donna, infatti, era stata già aggredita tre volte dal compagno, nel novembre del 2015, nel settembre 2017 e nel febbraio 2018, e che avesse sporto diverse denunce.
Nonostante l’apertura di una procedura per violenza domestica e l’indicazione di un esperto che indicava la pericolosità dell’uomo a causa del disturbo bipolare di cui soffriva, durante l’inchiesta non venne presa alcuna misura per proteggere la donna e i suoi figli. E proprio l’assenza di azioni ulteriori da parte dello Stato italiano è al centro della sentenza della corte di Strasburgo: “I procuratori – si legge – sono rimasti passivi di fronte ai gravi rischi che correva la donna e con la loro inazione hanno permesso al compagno di continuare a minacciarla e aggredirla. Le autorità italiane avrebbero dovuto adottare misure di protezione verso la donna e i suoi figli, “indipendentemente dalla presentazione di denunce e indipendentemente dal fatto che fossero state ritirate, o del cambiamento di percezione del rischio da parte della vittima”.
Con questa sentenza, la Corte Cedu sottolinea come, in materia di violenza domestica, il compito di uno Stato non si esaurisca con la sola adozione di disposizioni di legge, ma si debba estendere affinchè la protezione sia realmente effettiva. Anche in questo caso però è mancata la valutazione del rischio dimostrando come l’Italia sia ancora troppo lontana dall’assicurare effettiva protezione alle donne che subiscono violenza e ai loro figli e figlie. Per via di questa sentenza lo Stato italiano dovrà versare alla donna 32 mila euro per danni morali.
La sentenza della Corte di Strasburgo ha risvegliato il dibattito politico che adesso chiede interventi celeri per evitare ulteriori tragedie: “La condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, per non aver protetto una donna e i suoi figli da un episodio di violenza domestica, impone di fare presto e bene” – ha dichiarato il senatore della Lega, Andrea Ostellari, presidente della commissione Giustizia a Palazzo Madama. “Già mercoledì prossimo, in Commissione giustizia al Senato, inizierà l’esame di ben sei disegni di legge, uno dei quali a prima firma della senatrice, Marzia Casolati”.
Ma i commenti e le condanne istituzionali e mediatiche, a seguito dell’ennesima prova di immobilismo delle Istituzioni nella tutela delle donne e ormai fuori tempo massimo, sono destinati ad essere dimenticati nei giorni a seguire e non affrontano il problema, che non è più rinviabile.