Pezzi di Pizzo

Il branco stupratore e il matriarcato

I figghi so’ pezz ‘e core, anche quando sono pezzi di merda. In molti hanno sviscerato, dedotto, analizzato sui fatti dello stupro in branco, un mucchio selvaggio come in alcuni western, avvenuto a Palermo. Si indica una ancora retrograda cultura maschilista, patriarcale, in cui all’uomo è consentito, giustificato, di imporsi con violenza sulla donna.

A me ha fatto impressione invece la conversazione, e immagino che ce ne siano delle altre per gli altri indagati, tra madre e figlio di uno degli animali del branco. “Sarebbe utile che descriveste agli investigatori la ragazza come una poco di buono”, e poi altri consigli sull’occultamento delle prove. Queste espressioni possono avere due dinamiche. Una il ruolo collante della donna che tiene in piedi la Famiglia del Padre, assente e menefreghista in molti casi.

Quindi un ruolo servente ancillare, succube in certi casi, che si preoccupa del buon nome e delle conseguenze sociali ed economiche della famiglia, in questa che viene considerata una disgrazia, come un’incidente o una malattia, e non uno sciagurato e criminale comportamento del proprio figlio. L’altra chiave di lettura ci porta invece, a volte per abbandono o assenza mentale del marito, al ruolo del matriarcato, originario o sostitutivo, che fa della madre l’arbitro e il regolatore dei figli, soprattutto maschi, dipendenti ancestralmente da lei più delle figlie femmine, maggiormente autonome ed indipendenti. Queste donne proiettano sui figli maschi le frustrazioni di un abbandono maschile spesso, o morbosità materne disposte a tutto, come una lupa, per difendere i propri figli. “Se l’è cercata, è una poco di buono”. Lo dice solo per salvare il figlio? O c’è altro? C’è un’intima considerazione, forse, che nessuna donna, a parte lei, può andare bene per suo figlio.

Pertanto i bisogni sessuali sono comprensibili, ma vanno limitati solo a quella sfera, o a quella procreativa, perché l’affettività è preclusa, e deve avere un senso unico, verso il grembo materno. In questa visione si è madri senza essere donne, pertanto si può attaccare e distruggere moralmente altre donne, non si fa parte di una collettività femminile, si è madri senza legami sociali, e si ritorna alla lupa. Ma non ai lupanari. Siamo sicuri che questa morbosità, molto palermitana, sia di esclusiva competenza dei rioni popolari, meno colti, più degradati? Siamo certi che il senso della lupa non alberghi anche nelle mamme più borghesi di via Libertà e dintorni. Pensiamo che se il branco fosse stato borghese, le madri dei giovani delinquenti avrebbero costretto i loro figli a confessare il crimine e ad espiare la colpa per un fatto gravissimo che andava non solo contro una persona indifesa, ma contro secoli di tentativi di affrancamento dalla sudditanza della donna-sorella?

Non siamo certi affatto, per cui questa cultura matriarcale, a volte morbida a volte morbosa, non è forse un caso per sociologi, ma per psicanalisti. Come fa a crescere sano, affettivamente moralmente un giovane maschio di questa città, grembo accudente, ma a volte ammorbante come il fetore dell’immondizia dilagante?

In questo caso il maschio adulto ha una colpa altrettanto grave. L’assenza, il suo diritto secolare a farsi i cazzi propri, e a delegare le vicende familiari alla amministratrice matriarca.

Così è se vi pare.