Il metodo di passare dai grandi principi ai fatti e poi dai fatti rimontare ai grandi principi è tipico anche del grande illuminismo lombardo sino a Cattaneo. Dai fatti ai pensieri e dai pensieri ai fatti. Per contribuire al processo di incivilimento, per “far che si crei una società di uomini operosi, sagaci, onorati, nella quale ogni attitudine ha il suo campo, ogni merito la sua ricompensa” (C. Cattaneo).
A questo serve l’economia politica. Se non serve a questo non serve a niente. Ma questo impegno non cade mai nel costruttivismo, nell’ingegneria sociale, in quella che Roepke chiamò “abuso della ragione” del “razionalismo moderno”. La tradizione lombarda non cade mai in quel genere di hybris scientista che prevale in epoca positivista nel corso del XIX secolo.
Questo è il positivismo del Cattaneo e degli studiosi dei quali è erede. Un positivismo che è tutt’altro che cieco, tutt’altro che ingenuo, tutt’altro che vittima dell’illusione “sulle magnifiche sorti e progressive”. E’ un positivismo realista, di chi conosce a fondo gli alti e bassi delle vicende umane, di chi conosce la lentezza, la gradualità, la fatica dell’incivilimento, di chi ha sofferto disillusioni generali e personali, di chi sa che solo i processi di sviluppo che nascono dal basso, dalla maturazione collettiva, dalla valorizzazione dei propri talenti, dalla dura fatica intellettuale, materiale e morale, hanno possibilità di consolidamento. Di chi, come Cattaneo ha letto e interiorizzato Vico. Ma le difficoltà, le sconfitte, non uccidono la speranza, che non è mai ottuso ottimismo ma è solo impegno morale.
Dai fatti ai pensieri e dai pensieri ai fatti. Per migliorarli, per contribuire, senza che le cadute e le contraddizioni spengano la speranza e l’impegno. Io partivo dall’illuminismo lombardo e da Carlo Cattaneo, Don Adriano dalla DSC, ma ci siamo incontrati a lavorare nello stesso modo e per gli stessi obiettivi. E ci eravamo incontrati perché io avevo studiato a fondo la DSC e mi ero chiesto come era possibile che nelle nostre facoltà di economia, nelle quali i libri di ogni economiscutolo trovavano spazio non vi era spazio per autentici pilastri del pensiero economo sociale del nostro tempo, come sono le principali encicliche della moderna DSC? E Don Adriano era aperto e curioso di esplorare realmente il mondo del lavoro, dell’impresa, delle professioni e tutto ciò che costituisce la semplice economia, oltre ad essere, per quegli anni, un raro prete vero conoscitore della DSC.
E dunque la ricerca di Don Adriano sulle virtù individuali può e deve continuare per gettare nuovi ponti tra le migliori tradizioni culturali laiche e la DSC e può aiutarci a costruire questi ponti sempre più indispensabili per fronteggiare il male che ci sovrasta e di fronte al quale rischiamo di soccombere, senza una reazione comune di tutti gli uomini di buona volontà, educati alle virtù, e sostenuti e guidati dalla speranza cristiana e dalla solida Dottrina Sociale della Chiesa. Forse, qua e là, si intravedono squarci di luce. Forse i Chicago Boys, sempre potentissimi, sono in regresso.