Inchiesta

Il ministro del Lavoro Catalfo in esclusiva al QdS, “La mia battaglia antica contro il Caporalato”

ROMA – Il caporalato non è solo una piaga del Mezzogiorno. A discapito della percezione collettiva, lo sfruttamento dei lavoratori, che spesso coincide proprio con il fenomeno del caporalato, non si concentra solo nelle regioni del Sud, ma è presente, in modo consistente, anche nelle altre ripartizioni geografiche. Anzi: il Veneto e la Lombardia – con le Procure di Mantova e Brescia – sono in testa per numero di procedimenti penali avviati. Seguono le Procure dell’Emilia-Romagna e quelle del Lazio (con Latina al primo posto), nonché della Toscana (con Prato).

A fotografare la situazione degli ultimi due anni (ottobre 2018-ottobre 2020) è il V Rapporto Agromafie e caporalato a cura dell’Osservatorio Placido Rizzotto Flai-Cgil, presentato ieri a Roma, al teatro Ambra Jovinelli, e concernente lo sfruttamento lavorativo nel settore agro-alimentare e le criticità dei rapporti di lavoro dovute a contratti ingannevoli e a raggiri perpetuati a danno dei lavoratori: a conti fatti, sono 180 mila quelli particolarmente vulnerabili e quindi a rischio di fenomeni come lo sfruttamento e il caporalato.

La gravità del fenomeno emerge da un’analisi effettuata sui procedimenti penali riguardanti i cosiddetti ‘indici di sfruttamento’ ridefiniti dalla legge contro il caporalato, la 199 del 2016. Su 260 procedimenti penali monitorati più della metà – per l’esattezza 143 – non riguardano il Sud Italia.
Inganni e raggiri sono distribuiti diversamente in tutti gli ambiti produttivi ma è nel settore dell’agricoltura che si registra il maggior numero di procedimenti penali esaminati: ben 163, pari al 63% del totale. L’impiego in agricoltura, dal punto di vista quantitativo, costituisce il settore dove si riversano una parte delle donne migranti, dopo il lavoro domestico e di cura. In questo ambito occupazionale emerge un maggior isolamento delle lavoratrici agricole che, specularmente, tende a caratterizzarsi con una forte dipendenza dal datore di lavoro rendendo i rapporti di lavoro particolarmente permeabili a forme di variegate di abuso (incluse quelle a sfondo sessuale) e sfruttamento: le paghe di fatto sono mediamente minori, mentre gli orari di lavoro sono pressoché assimilabili a quelli dei colleghi maschi.

Anche le donne, come gli uomini, sono reclutate da caporali o dalla “caporala” (come si dice nel brindisino o nel tarantino), oppure da datori di lavoro che puntano allo stato di bisogno nella quale versano sovente i lavoratori e lavoratrici, mirando a sfruttare a loro vantaggio la loro maggior vulnerabilità-ricattabilità, soprattutto in presenza di figli o genitori a carico.

I dati emersi dal citato report, tuttavia, vanno incrociati con il diverso peso che il settore agro-alimentare ha nelle varie ripartizioni geografiche e, dunque, con la diversa ampiezza del numero di lavoratori che vi sono occupati: nel Meridione (Isole comprese) le maestranze ufficiali al 2018 erano – tra italiani e stranieri – circa 600.000, mentre nel Centro-Nord quasi 400.000 su 1.060.000 unità complessive.

Il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Nunzia Catalfo, ha commentato in esclusiva insieme al Qds i dati emersi dal rapporto.
Ministro Catalfo, la sorprende questo dato?
“Purtroppo no. Il caporalato è un fenomeno diffusosi negli anni su tutto il territorio nazionale che peraltro non riguarda solo l’agricoltura. Anche nella gig economy, per esempio, le recenti cronache ci raccontano di lavoratori sfruttati e “condizioni di lavoro degradanti”. Si tratta di un tema del quale, da quando sono entrata in Parlamento, mi sono sempre occupata e, due anni fa, grazie ad un mio emendamento è stato costituito il tavolo di contrasto al caporalato che ha portato, nel febbraio scorso, all’approvazione del piano triennale con un finanziamento, da parte del mio ministero, di 95 milioni di euro. Il piano è concentrato su 4 punti: prevenzione, vigilanza, protezione e reintegrazione. Sono già operativi 17 progetti che prevedono servizi di presa in carico, protezione e assistenza, accompagnamento al lavoro e alla casa delle vittime di sfruttamento e campagne informative, più ulteriori interventi di rafforzamento delle azioni ispettive che attraverso il progetto “Alt caporalato” ci hanno consentito di effettuare controlli su oltre 2.600 posizioni lavorative e di riscontrare irregolarità per 547 lavoratori.

Quali, invece, le iniziative, invece, promosse di recente?
“Recentemente abbiamo lanciato l’app “Restoincampo” per rendere trasparente l’incrocio di domanda e offerta di lavoro in agricoltura e neutralizzare, insieme agli investimenti in alloggi e trasporti, il ruolo del caporale”.