Ognuno di noi ha un’esperienza limitata del mondo, per qualcuno quest’esperienza è più vasta ed approfondita. Sono i narratori che hanno viaggiato, e che attraverso il loro sguardo ci hanno fatto conoscere più cose e mondi di quelli che abitiamo. Di fatto tra World e Word la linea di confine, come quella d’ombra in Conrad, è una lettera. Solo word può spiegare world, ma non tutti hanno il dono evocativo, quello che ci fa sognare ad occhi aperti, come una realtà virtuale immersiva, della parola.
È da notare che questi uomini, viaggiando e narrando, mettevano in gioco certezze e consapevolezze, spesso attraversando limiti e fragilità personali, a volte autodistruttivi. È stato così per Conrad, Kipling, Maugham, Hemingway e diversi altri alla ricerca di mondi differenti e parole aderenti. Loro ci hanno spostato la linea del nostro limitato orizzonte, fatto di viaggi da turisti, senza il senso del viaggio, che non è vedere posti, ma conoscerli attraverso se stessi, a volte perdersi, come un Rimbaud o un Maupassant.
Parafrasando Battisti, Si viaggiare, ma conoscersi è lo scopo, e solo mondi differenti, parole diverse, possono aiutarci. “La pioggia cadeva nello stesso modo, sul giusto e sul malvagio, e per nessuno esisteva un perché” questo è Somerset Maugham, nel suo viaggio nei mari del Sud, dove il peccato è una linea sottile, e nessuno può chiamarsi fuori o dannarsi indefinitamente.
Maugham, come Kipling, era scrittore, viaggiatore, forse agente segreto, narrava mondi che conosciamo solo grazie a queste menti, che hanno condiviso parole sui mondi con noi, facendoci uscire dalla protettiva, ma escludente, home e proiettandoci nel World. La parola definisce il mondo è noi stessi rispetto a lui, bisogna solo leggerla, per conoscere Lui e Noi, uno sforzo che si fa sempre meno, tra tweet e fake, senza l’odore salvifico della carta, senza la pazienza, l’ardore della lettura. Se ignorassimo del tutto, se sapessimo di non sapere, saremmo più sapienti, più affamati di parole, conosceremo il World.