Va in atto in Sicilia una rivoluzione al contrario sul piano generazionale. Si sta consolidando un blocco in cui al comando delle operazioni politiche ci sono dei settantenni, tranne un paio che sono stati esclusi, perché la copertina è corta e può scaldare solo alcune anziane ginocchia ma non tutte.
Il gruppo, che potremmo definire Amici miei atto terzo, è costituito dall’imperituro Totò Cardinale, da Raffaele Lombardo e dal paternese Ignazio La Russa, proconsole Meloniano in terra di Sicilia. Sono costoro i fautori della maggioranza stretta intorno al loro coetaneo di maggior curricula istituzionale, Renato Schifani. A questi si associa un “giovane” ultrasessantenne di nome Salvatore Cuffaro. Il più scaltro di tutti è sicuramente Cardinale che, come monsignor Dell’Acqua in Vaticano, è un campione del galleggiamento politico. Lui non rema sul territorio, non cerca elettori, ne fonda liste, lui recupera gli eletti post voto. Dispensa consigli e mette in campo rapporti e relazioni, modus operandi in cui è impareggiabile. Tre di costoro sono tutti allievi di Calogero Mannino, di cui sarebbe interessante chiedere il parere, non tanto sulle loro abilità tecniche, ma sul costrutto e le finalità di queste operazioni.
È ovvio che il risultato è scritto nei posteri, ma ad oggi sembra un sussulto di sopravvivenza di un ceto politico che in Sicilia non vuole cedere il passo. Lo fa con i giusti compromessi, regalando spazi di manovra ai giovani turchi trentenni o quarantenni. Questa generazione è durata così a lungo perché ha fatto fuori il gruppo della rivolta dei quarantenni, i D’Alia, i Drago che si rivoltarono contro di loro sotto l’egida di Casini. Di questa generazione solo Massimo Grillo resiste come sindaco della sua Marsala. Un’intera classe dirigente, che oggi è al comando dei posti chiave in Italia, quella dei cinquantenni, in Sicilia è stata ad oggi marginalizzata e poi estromessa.
Può un gruppo di questa età traghettare la Sicilia nel terzo millennio, nella transizione ecologica, digitale, post industriale? Può riparare danni e ritardi amministrativi accumulati in quarant’anni in cui costoro erano in piena attività? Ma alternativamente c’è qualche altro gruppo politico che ha capacità e cultura per farlo?
La Sicilia da una sensazione sempre più gattopardesca di immutabilità, di ineluttabile perdurare di riti che non mutano certamente davanti a guerre, crisi energetiche, PNRR o altre bazzecole della Storia. Finché c’è un Parlamento, anche senza bilancio, con scarne risorse, il gioco è sempre lo stesso, quello del trono di Orleans e delle casate vassalle, che spartiscono sempre meno prebende a valvassori e valvassini, in un feudalesimo misero. Il problema della Finanziaria oggi o della parifica contabile è solo uno. Come pagare le truppe dei signori del voto con i posti di gabinetto e sottogoverno?
Perché mantenere un esercito che organizza il consenso non è semplice. E senza mercede il malumore serpeggia. E le imprese, i lavoratori del privato, gli agricoltori, gli artigiani? Calma, calma, aspettiamo che ci dica Roma. Non possiamo mica fare tutto noi. Già noi abbiamo i nostri problemi. Gli esclusi dalla coperta generazionale, i Miccichè, gli Stancanelli, già sono un problema prioritario per la nostra serena vecchiaia. Al resto ci pensi la Meloni o Iddio.