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Il silenzio assordante di Egitto e Italia sul caso Giulio Regeni

ROMA – I genitori di Giulio Regeni, il ricercatore italiano ucciso in Egitto nel 2016, sono stati auditi per la prima volta dalla commissione d’inchiesta bicamerale istituita appositamente per trovare la verità su questo controverso omicidio che ha causato e continua a causare diverse tensioni diplomatiche con il regime del generale egiziano Al-Sisi.

Giulio Regeni, nel 2016, stava conseguendo un dottorato di ricerca presso il Girton College dell’Università di Cambridge e si trovava al Cairo per svolgere una ricerca sui sindacati indipendenti egiziani. Dopo che a gennaio ne era stata denunciata la scomparsa, il corpo di Regeni è stato ritrovato con chiari segni di tortura nella periferia della capitale egiziana. L’ipotesi sull’omicidio è quella del coinvolgimento del Governo egiziano, che non vedeva di buon occhio l’attività di ricerca condotta da Giulio. Quest’ipotesi, che è stata anche alimentata dalla poca collaborazione e dai diversi depistaggi da parte delle autorità egiziane nei confronti di quelle italiane, ha messo le basi per la mobilitazione internazionale (come la campagna di Amnesty International) che vuole scoprire la verità sull’omicidio del ricercatore italiano.

“La sera del 31 gennaio 2016 l’ambasciatore Massari ci conferma di aver incontrato il ministro dell’Interno egiziano senza aver avuto informazioni utili sulla scomparsa di Giulio. Anzi, ci dice che il ministro aveva avuto nei suoi confronti un atteggiamento non collaborativo e sprezzante. Per questo era giusto dare alla stampa la notizia della scomparsa di Giulio”. Ha esordito così ieri mattina Claudio Regeni, il padre di Giulio, durante il suo intervento a palazzo San Macuto, davanti la commissione d’inchiesta bicamerale. “Ci sono delle zone grigie – ha aggiunto – che con il vostro aiuto potremo scoprire. Sia dal lato del governo egiziano, che da un anno non collabora, ma anche da parte italiana. Noi chiediamo il richiamo dell’ambasciatore che non ci sta riferendo cosa sta facendo”.

Intervenuta anche la madre, Paola Deffendi, che ha ricordato i tragici momenti in cui è venuta a conoscenza delle torture inflitte al figlio. “Abbiamo scoperto che Giulio era stato torturato – ha dichiarato – leggendo i quotidiani italiani online. Non ci era stato riferito probabilmente, pensiamo, anche per una forma di affetto e tutela. Siamo però nella società della tecnologia e tutto si viene a sapere”. Inoltre Paola Deffendi ha anche sottolineato che in quattro anni senza risposte, insieme al marito, hanno “collaborato con quattro governi e con diverse persone. Abbiamo incontrato Renzi, l’allora ministro degli esteri Gentiloni poi divenuto premier – ha continuato – Poi Conte nel governo Conte 1 e nel governo Conte 2. Poi il ministro degli Esteri, Di Maio, e ancora prima l’allora ministro degli Esteri, Moavero. Abbiamo incontrato anche il ministro degli Interni, Alfano. Queste sono le persone che ci sono state vicine”.

La richiesta di Claudio Regeni e Paola Deffendi, espressa dall’avvocato della famiglia, Alessandra Ballerini, è quella di “dichiarare l’Egitto paese non sicuro” in quanto “in quel paese si rischia di fare la fine di Giulio. Ogni giorno in Egitto ci sono tre o quattro casi come questo”. L’avvocato, inoltre, durante il suo intervento ha sottolineato come Giulio è stato ucciso perchè si trovava in un “regime paranoico che non ha rispetto per diritti umani” e perchè c’era “la presunzione che tanto gli italiani non scaveranno mai per avere verità”.

Gabriele D’Amico