SIRACUSA – Una buona notizia nel mondo della viticoltura siciliana. O per lo meno, più che in chiaro che scuro. In questo anno terribile, in cui la crisi ha colpito tutti, l’uva “Italia” di Canicattì ha tenuto bene il mercato. Si tratta di una varietà da tavola molto conosciuta a livello mondiale: la raccolta viene fatta dalla pianta direttamente nell’imballaggio, e per ogni quintale prodotto solo 20 chili restano in Italia, mentre l’80 per cento viene commercializzato e quindi esportato nel resto del mondo.
Si tratta di una delle produzioni cardine delle aree del canicattinese: negli ultimi anni si coltivano circa 10 mila ettari in Igp, indicazione geografica protetta. Si tratta di una nuova inversione di tendenza: in passato se ne coltivavano oltre 20 mila ettari, ma la grande crisi degli anni ‘90 aveva fatto perdere un po’ di interesse. Nell’ultimo decennio c’è stata una lieve controtendenza e la produzione è in rialzo. I mercati più interessati sono quelli francesi, ma la grande crisi del covid ha fatto registrare una minore richiesta di prodotto e una disponibilità a pagare dei consumatori finali molto più bassa rispetto agli anni passati; altri mercati coinvolti sono quelli del Sud Africa, Emirati Arabi e Costa d’Avorio.
Il mondo economico che ruota intorno alla produzione di vino purtroppo ha vissuto sulle montagne russe in questo 2020: c’è anche un mercato per l’uva da mosto, una stagione da dimenticare per ristoranti e catering, ma non per supermercati ed enoteche: gli stessi produttori hanno detto di aspettarsi un crollo dei prezzi nei territori molto vocati al nero d’Avola, mentre invece il prodotto ha retto e mantenuto il prezzo, circa 55 centesimi al chilo. Per i bianchi, invece, il prezzo è stato più basso.
Un momento favorevole che non deve fare però dimenticare le difficoltà che il settore affronta ogni anno, a prescindere dall’eccezionalità di una pandemia mondiale in corso. Un problema grave è quello della concorrenza tra prodotti all’interno dell’Unione europea. La scorsa primavera le organizzazioni di produttori avevano lanciato l’allarme contro la concorrenza scorretta di Paesi che commercializzano, attraverso una grandissima piattaforma logistica, uva da tavola egiziana, creando un danno enorme ai nostri produttori che sostengono costi decisamente superiori rispetto alle nazioni del Nord Africa.
In Sicilia il danno per il tessuto economico è ingente: il presidente di Cia Sicilia Orientale, Giuseppe Di Silvestro, nei mesi scorsi aveva puntato l’indice contro l’Olanda, che nei mesi iniziali dell’anno ha invaso il mercato europeo con l’uva da tavola con frutta proveniente dall’Egitto, venduta ad un prezzo decisamente inferiore rispetto a quella italiana grazie ai bassi costi di manodopera. Un ulteriore danno visto che, a causa del Covid, hanno ribadito i coltivatori, i costi sono aumentati per mancanza di manodopera e altri fattori: le spese del distanziamento nei magazzini con turni in aggiuntivi, separatori e tutte quelle procedure nel rispetto della salute del personale impiegato. A giugno, quando erano pronte le produzioni più massive è stata registrata una pesante perdita della domanda di oltre il 40%, con la conseguente impossibilità di vendere il prodotto.
Basti pensare che nello stesso momento avevamo sui mercati europei uva, in particolare quella seedless, siciliana, pugliese, spagnola ed egiziana. Con un prezzo alla produzione di 0,60–0,70 Euro/kg, per i produttori siciliani non è possibile competere con un prodotto già lavorato allo stesso prezzo.
“I mesi del Coronavirus – ha precisato Gianni Raniolo, presidente del Consorzio di Tutela dell’uva da tavola di Mazzarrone Igp – hanno dato, come mai nessun altro periodo storico prima, la certezza che il consumatore italiano ed europeo ama i frutti della terra siciliana. Questo meccanismo virtuoso però è stato spezzato dalle solite logiche viziose di un mercato che, nel gioco delle fiscalità, nella ricerca del prezzo ad ogni costo, da una parte impone il rispetto delle regole e dall’altra le aggira”.