L’impresa sana, e al contempo eticamente corretta, è quella che realizza l’armonica compenetrazione di tre processi di accumulazione: accumulazione della conoscenza tecnologica, accumulazione della conoscenza organizzativa e, come conseguenza dei primi due, accumulazione del capitale.
I tre processi di accumulazione sono alimentati dalla continua ricerca di innovazioni tecniche, organizzative, culturali. E questa ricerca è alimentata da solide promesse morali, come Cotrugli e molti come lui sostenevano. Del pari, poco sensato è impostare il problema dell’eticità del management in funzione del fatto che esso tenga più o meno conto dei vari interessi che nell’impresa confluiscono.
Anche questa non è una questione etica, ma di semplice professionalità, che ha già da tempo trovato una sua precisa sistemazione nella migliore teoria manageriale, senza disturbare l’etica. Il manager che non sa o non vuole o non può tenere conto, in modo equilibrato, dei vari interessi che confluiscono nell’impresa non è una persona poco etica. È solamente un cattivo manager. È sostanzialmente a lui che si rivolgono le recenti integrazioni degli artt. 9 e 41 della nostra Costituzione.
L’impresa sana è un’organizzazione di lavoro, una società di uomini e di beni, riuniti intorno a un progetto legittimo, dove, in modo più o meno soddisfacente, il sistema stimola tutti i protagonisti a perseguire, collettivamente, i seguenti obiettivi:
Cotrugli concorda. Un’impresa così concepita è un’impresa più capace di resistere, nel tempo, alla buona e alla cattiva sorte ed è, al contempo, eticamente corretta perché è fattore di sviluppo, assolve cioè alla sua funzione sociale, realizza i suoi «fini che la trascendono» (Drucker). Che poi vi siano tante imprese lontane da questo modello non ne inficia la validità così come l’ideale di parrocchia non viene intaccato dall’esistenza di tante parrocchie che non assolvono alla loro funzione. Ma milioni e milioni di imprese nel mondo sono ancora a loro agio con la concezione d’impresa di Cotrugli.