PALERMO – Il divario economico tra l’isola e il centro-nord non sarà colmabile se non si punterà ad aumentare il numero di aziende sul territorio. Troppo grande è la differenza in termini strettamente numerici delle imprese presenti nelle diverse regioni, amplificata in termini di addetti dalla maggiore/minore dimensione media delle imprese esistenti e dall’orientamento di queste in settori a produttività più o meno elevata.
Secondo i dati raccolti dall’Istat, la densità di imprese in relazione alla popolazione in età di lavoro (a livello nazionale pari a 121 per mille residenti tra i 20 e i 65 anni) supera il 135‰ in Val d’Aosta, Toscana, Liguria, Lombardia, Emilia-Romagna e Marche, ma scende intorno o sotto il 100 ‰ in Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia. Molto più ampio è il divario in termini di addetti: in Sicilia si rimane sotto i 250 addetti su mille abitanti, con un minimo di 197‰ ad Agrigento, mentre si sale a valori prossimi o superiori a 700‰ in Lombardia, nelle province emiliane, a Bolzano e Prato.
Questo è legato alla scarsità di imprese industriali e nei servizi non commerciali, mentre le attività commerciali sono distribuite in maniera più omogenea in tutto il territorio nazionale. Inoltre, nel Mezzogiorno le imprese tendono ad avere dimensioni medie sensibilmente inferiori rispetto al Centro-nord: di quasi il 35% per il complesso delle attività, nel commercio e nella logistica, e di circa il 50% nell’industria in senso stretto e nei servizi. In netta riduzione, invece, il divario nell’istruzione dei lavoratori dipendenti coinvolti.
In Sicilia, nel 2011, l’età media si attestava a poco meno 11 anni di studio medio degli addetti, mentre nel 2019 è salita a 12,4 circa. Con una crescita che supera l’aumento registrato a livello nazionale. Il valore si mantiene comunque al di sotto della media nazionale, che sale oltre i 12,6 anni di studio medio. Continua comunque lo spostamento della forza lavoro più qualificata dal mezzogiorno verso le zone più dinamiche del Paese.
Non ha sicuramente aiutato la pandemia ancora in corso: la crisi del 2020 ha colpito duramente ovunque, ma nel sud e nelle isole, che stavano cominciando a trovare la propria strada verso la crescita economica nel turismo, è stata particolarmente dura. D’altra parte, nel corso del 2020 le restrizioni alla normale attività dovute alla gestione dell’emergenza sanitaria hanno impresso una spinta importante all’uso delle tecnologie digitali, permettendo di superare delle resistenze culturali. Particolarmente esemplificativo al riguardo è il caso della diffusione del telelavoro, che nelle imprese con almeno 3 addetti è passata dal 3,7% degli addetti nel gennaio 2020 a poco meno del 20% nel bimestre marzo-aprile di restrizioni alla mobilità (quasi il 30% nelle attività dei servizi), rimanendo tra il 12 e il 15% nel corso dell’anno.
La necessità ha spinto i lavoratori a un apprendimento accelerato e gli imprenditori a rivedere i propri modelli organizzativi. Questo esperimento non è sempre stato coronato da successo, ma a molte imprese ha mostrato la potenzialità di un’organizzazione per obiettivi, allargando l’autonomia dei dipendenti, orientando i controlli dai processi ai risultati, e ai lavoratori ha dato maggior flessibilità. Una speranza per la crescita d’impresa anche nei territori più depressi viene dalla disponibilità, per la prima volta dopo molti anni, di investimenti pubblici consistenti e mirati attraverso il Pnrr e le riforme di sistema in gestazione, rafforzando in tal modo la capacità competitiva delle imprese e una riduzione dei divari sia all’interno dell’Italia che con le altre maggiori economie europee.