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In Sicilia censite undici case rifugio (232 in Italia)

PALERMO – Ammonta a quota undici il numero di case rifugio al servizio delle donne vittime di violenza presenti in Sicilia: quasi il 5% delle 232 complessivamente rilevate a livello nazionale. Secondo i dati contenuti all’interno della prima indagine sui servizi offerti dalle case rifugio alle donne vittime di violenza, condotta dall’Istituto nazionale di statistica in collaborazione con il dipartimento per le Pari opportunità e il Consiglio nazionale delle ricerche, oltre la metà delle strutture si concentra in sole tre regioni: infatti, troviamo innanzitutto la Lombardia (70), l’Emilia Romagna (34) e la Toscana (20). Complessivamente, le 232 strutture rilevate a livello nazionale rispondono ai requisiti dell’intesa del 27 novembre 2014.

Le case rifugio sono strutture dedicate a indirizzo segreto, che forniscono alloggio sicuro alle donne che subiscono violenza e ai loro bambini a titolo gratuito e indipendentemente dal luogo di residenza, con l’obiettivo di protezione e salvaguardia dell’incolumità fisica e psichica. Rispetto alle 232 totali, sono state in 211 ad aver completato il questionario Istat e delle quali, quindi, si rilasciano i dati. In Sicilia, invece, solo sei strutture hanno risposto in forma integrale, quindi ci riferiremo solo a queste.

I posti letto attivati nelle case rifugio siciliane ammontano mediamente a quota 11,3, leggermente superiore ai 10,5 posti autorizzati (in ogni caso, superiore alla media nazionale pari a 9,3 posti effettivamente attivati, contro gli 8 attivati). In Trentino Alto Adige e Calabria si rileva il numero più alto di posti attivati per struttura (rispettivamente 19 e 15), ad ogni modo in linea con il numero di posti letto autorizzati. Mentre nelle Marche si osserva il gap più consistente tra posti letto autorizzati e posti letto effettivamente attivati (rispettivamente 8,7 e 14,7).

La totalità delle strutture siciliane rispondenti garantisce la reperibilità H24, dispone di locali in cui svolgere colloqui e consulenze nel rispetto della privacy e dispone di un proprio regolamento interno. Mentre quattro strutture su sei mettono a disposizione un servizio di linea telefonica per gli operatori della rete.

Il lavoro delle case rifugio si basa, principalmente, sull’apporto di personale retribuito (70,2% del totale, corrispondente a 33 unità nei sei centri considerati), mentre per il restante 29,8% si tratta di volontari (14 unità). A livello nazionale si riflette medesimo andamento: infatti, in questo caso, il personale retribuito rappresenta il 65% del totale (1.324 unità, sulle complessive 2.037), mentre i volontari il restante 35% (713 unità). Tra i profili professionali presenti spiccano gli assistenti sociali (sei unità di personale), coordinatori (6), educatori (6), psicologi (5), operatori di accoglienza (5), ma anche il personale amministrativo (5). Presenti in minor parte anche la figura dell’avvocato (3) e quella del mediatore culturale (2).

Quattro delle sei case rifugio analizzate hanno organizzato corsi di formazione e aggiornamento rivolti al personale. Approccio di genere, diritti umani delle donne, accoglienza di donne migranti, accoglienza di donne con disabilità e accoglienza basata sulla relazione tra donne sono state le tematiche affrontate durante i corsi di formazione.