Ambiente

Incendi, le macerie e i silenzi dietro un’estate infernale

Quest’anno sul numero degli incendi c’è uno stridente contrasto tra l’isola e il resto dello Stivale. Alcuni giorni fa il capo della Protezione civile nazionale, Fabrizio Curcio, ha detto che i dati rilevano nel 2023 un calo dei roghi a livello nazionale pari a -25% rispetto ai numeri del 2022. Dai dati invece della Sicilia, il numero dei roghi sull’isola quest’anno potrebbe superare quello dell’anno scorso, forse addirittura di un buon 15% Gli incendi nell’isola mediamente sono diecimila contro i duemila della seconda regione italiana di questa triste classifica, con uno scenario futuro aggravante. Se a fine anno verrà tracciato un bilancio complessivo dei roghi di tutto lo Stivale, il numero di quelli registrati in Sicilia potrebbe avvicinarsi alla totalità dei roghi di tutta la penisola.

In Italia -25% di roghi, in Sicilia +15%. Numeri devastanti

Bastano soltanto questi scarni numeri per confermare che quello che sta avvenendo in Sicilia negli ultimi anni è un vero e proprio disastro annunciato per una molteplicità di cause che vanno dall’azione dei piromani dalla mente malata a quella di individui che cercano un tornaconto personale sino a giungere all’azione di criminali lunga mano della criminalità organizzata. Il tutto con una risposta delle istituzioni molto blanda e il più delle volte inutile. Il dato, per la sua crudezza agghiacciante – se si considera che dietro le fiamme ci sono drammi, morti e impunità in una sequela a dir poco che sembra inarrestabile – emerge dai numeri della Dipartimento regionale ambiente che ogni anno traccia una stima dei danni e degli interventi.

Ma la politica che fa? Risponde con le parole

La Sicilia vanta quindi il tristissimo primato negativo del Paese, che fa da contrasto a quelli che dovrebbero essere gli interventi legislativi che tardano ad arrivare per tamponare una piaga che solo quest’anno è costata già numerosi morti, l’ultimo, una 42enne in provincia di Palermo aggredita dal fuoco mentre cercava di salvare i suoi cavalli. Ma la politica che fa? Risponde con le parole. Si parla di equiparare i piromani ai mafiosi, di innanzare le pene, ma il più delle volte tutte queste buone azioni evaporano nell’aria nel volgere di poco tempo. Oltre una decina di anni fa, tanto per citare uno dei tantissimi casi nefasti, in un bosco del Messinese morirono bruciati vivi cinque escursionisti. Mai nessuno ha pagato per quella strage. E ogni anno il numero delle vittime aumenta.

Quest’anno poi si è sfiorato il record. A luglio c’erano stati giorni di inferno addebitati allo Scirocco e alle temperature alte. In soli tre giorni gli incendi registrati in Sicilia sono stati 300, contrastati dall’impiego di 4.585 uomini e 748 mezzi. Ma allora come adesso, passata la buriana tutto era finito nel dimenticatoio sino a pochi giorni fa quando l’anticiclone africano è tornato e gli incendi sono ripresi con un altro triste bilancio di due vittime nel Palermitano. Ogni anno, oltre alle morti che non avranno alcun colpevole, ogni rogo si porta appresso una scia di drammi familiari, case distrutte, famiglie sfollate, aziende messe su con il sacrificio incenerite in poche ore, desolazione e distruzione di quei polmoni verdi che sono la nostra linfa vitale, i nostri depuratori dell’aria che respiriamo. A questi bisogna aggiungere gli oltre finora 200 milioni di danni, quantificati dagli ispettorati provinciali all’Agricoltura, con la distruzione di produzioni e strutture agricole.

La Chiesa attacca le istituzioni

Come ogni anno quando poi si traccia un bilancio, lo scenario è devastante, sia sotto il profilo del disastro ambientale che all’immagine turistica, oltre a quello dell’emergenza sanitaria a tutela della cittadinanza. E come al solito fioccano le polemiche, come l’ultima scoppiata tra il vescovo dell’arcidiocesi di Cefalù, mons. Giuseppe Marciante che dinnanzi al disastro degli ultimi roghi ha parlato della necessità di “pene più severe per i piromani” invitando la popolazione alla mobilitazione e alla protesta contro l’inerzia dei politici, e il governatore Renato Schifani che ha accusato l’alto prelato di fomentare “le sommosse popolari”.

Ha ragione il Vescovo oppure il capo della politica siciliana? Esaminando l’intervento integrale di mons. Marciante, l’alto prelato si è limitato a dire che “In questi giorni la nostra terra di Sicilia soccombe sotto le fiamme dei roghi per lo più appiccati con modalità scientifiche da mani che non abbiamo paura di definire criminali. E ancora una volta siamo qui a levare il nostro grido, esausti e stanchi, ogni anno, sempre nello stesso periodo, raccogliendo l’immane sofferenza della nostra amata sorella Terra. E’ possibile che i cuori siano così restii alla conversione? Oppure dobbiamo sospettare che dietro agli incendi ci siano interessi economici, politici o addirittura di quelle forme di criminalità che vogliono lucrare sulle tante aziende messe in ginocchio?”.

Quindi il vescovo condannando questi atti, invita i cittadini a non coprire con l’omertà questi attentati e continua: “Ad ogni incendio siamo più poveri, ma soprattutto siamo più poveri umanamente perché l’uomo riesce a mostrare tutta la sua cattiveria e la sua miseria.. Siamo consapevoli di come negli anni la politica abbia mortificato l’impegno soprattutto dei lavoratori forestali, facendone esclusivamente una riserva di consenso elettorale e prospettando soluzioni di stabilizzazione mai realmente adottate…”

L’appello per una sana politica

“Occorre dare maggior spazio a una sana politica capace di riformare le istituzioni, coordinarle e dotarle di buone pratiche, che permettano di superare pressioni e inerzie viziose…”.

Stupito dalle parole del Vescovo

“Stupiscono le parole del vescovo – ha scritto in una nota stampa il governatore Renato Schifani – che rischiano solo di alimentare proteste e fomentare la sommossa popolare. Comprendo e condivido la rabbia e l’indignazione per questo ennesimo scempio ai danni del nostro territorio e delle nostre comunità, ma riteniamo ingiustificabili gli attacchi a questo governo regionale…”. Schifani ieri ha fatto un sopralluogo nelle zone maggiormente interessate dagli incendi, l’area di Cefalù e quella dei Nebrodi. Durante gli incontri, dopo aver espresso la sua solidarietà a familiari delle ultime vittime ha detto che chiederà “ al governo nazionale, sempre molto attento alla nostra regione, uno sforzo in più sotto il profilo del controllo del territorio da parte delle forze dell’ordine. Su questo mi confronterò con il ministro dell’Interno e con il premier. In situazioni simili il sistema Paese deve fare squadra, come ha dimostrato in altre occasioni. Da parte sua, la Regione continuerà a fare il massimo”.

Facciamo un piccolo passo di lato. In Italia da diversi anni una riforma saggia ha integrato il Corpo forestale nell’Arma dei carabinieri, conferendo alla stesso una gerarchia e una mission specifica di controllo del territorio. In Sicilia, guarda caso, la riforma non ha avuto effetti. Oggi il Corpo forestale è a carico della Regione, è vecchio, male equipaggiato e ridotto nei ranghi a causa di pensionamenti e turn over. Anche gli operai forestali diminuiscono. Si è passati in pochi anni da 25mila addetti a poco meno di 13mila.

Questo esercito scalcagnato e spesso senza armi deve combattere contro un esercito di piromani agguerriti e spesso lunga mano della criminalità organizzata. Inoltre il controllo del territorio dal punta di vista tecnologico è pari a zero. Si vuole puntare sui droni, ma forse vista la vastità del territorio non basterebbero il numero di quelli ucraini o russi. Sul fronte della prevenzione non si riesce neanche a fare rispettare le ordinanze sindacali ce impongono a ogni primavera la scerbatura dei terreni privati incolti. Insomma si fa la legge, ma nessuno la fa rispettare. Un tale disastro deve o no avere una paternità?