Editoriale

Incentivi auto? Sì, per quelle prodotte qui

Ai tempi dell’avvocato Giovanni Agnelli si usava dire: “Ciò che va bene per la Fiat, va bene per l’Italia”. Forse una frase spocchiosa, ma rifletteva una realtà e cioè che la capacità di pressione sui Governi dell’epoca dell’Avvocato era notevole.
Voci di popolo non controllate dicono che la famosa legge sull’Equo Canone (392/78), che calmierava i prezzi, fu fatta su pressione dello stesso Gruppo, in modo tale che tutti i suoi operai, pagando un canone più basso, non chiedessero aumenti.

In tutto il dopoguerra il Gruppo ha avuto contributi diretti e indiretti dallo Stato. Ciò è stato bene fino a quando esso ha prodotto le auto interamente nel nostro Paese e aveva sede qui. Poi tutto è cambiato, sono arrivate le nuove generazioni al governo di quel Gruppo, la sede si è trasferita in Olanda, esso è entrato in minoranza nel gruppo francese Peugeot-Citroen e oggi produce in Italia solo 750 mila veicoli anziché un milione.
Quanto precede l’abbiamo già scritto, ma vale comunque la pena ricordarlo.

Con la crisi della vendita di auto, i vari Governi degli ultimi decenni hanno ritenuto di dare un contributo per svecchiare il parco auto – che sembri conti circa 40 milioni di mezzi – intervenendo sulla vendita dei veicoli a prescindere dalle marche e dai luoghi di produzione. Cosicché è stata finanziata qualunque auto venduta da qualunque gruppo, nazionale, europeo o mondiale, a prescindere dal luogo di produzione.


Ora, è a tutti e a tutte noto che la maggior parte del valore aggiunto di un prodotto finito è nella fase di produzione e non in quella di distribuzione e vendita. Dunque, non si capisce per quale ragione i Governi si siano svenati finanziando aziende estere per auto prodotte all’estero.
In una situazione di enorme difficoltà in cui si trova l’attuale Governo Meloni – per carenza di risorse finanziarie dovuta ai limiti costituiti dal proprio debito pubblico e dal proprio deficit – trovare qualche miliardo o qualche centinaio di milioni è sempre più difficile.

Pertanto, è assolutamente indispensabile valutare bene chi e cosa incentivare per avere il più efficace ritorno sul Pil nazionale.
La vendita di auto nel nostro Paese ha ricominciato a marciare: quella di auto elettriche cresce, seppur timidamente; quella di auto ibride (motori termico-elettrico) altrettanto, mentre sono in decrescita le auto con motore a benzina e diesel.

È ovvio che il piano energetico nazionale abbia interesse a mandare al macero tutte le auto fino a Euro 5 per sostituirle con altre da Euro 6 in sù. È anche interesse generale spingere verso l’acquisto di auto elettriche.
In questo versante ha sicuramente una posizione rilevante la Cina, con la sua marca di punta che è la Byd, la quale, lo scorso anno, ha venduto nel mondo più auto della Tesla di Elon Musk.
Ma anche tutte le altre marche mondiali, da Volkswagen a Toyota, stanno spingendo per vendere più auto elettriche. Come? Facendo acrobazie sul processo economico in modo da ridurre i costi di produzione, distribuzione e vendita, per portare il prezzo finale di ogni auto al di sotto dei 25 mila euro.

In questo quadro, il nostro Paese vede positivamente la crescita di vendita di auto elettriche, ma esse rappresentano comunque una bassa percentuale sul totale. Non sembra che vi siano in atto stabilimenti per la loro produzione in Italia.

Allora cosa fare? Bisognerebbe andare verso l’incentivazione della produzione nel nostro Paese piuttosto che della vendita, in modo da stimolare l’interesse dei produttori a insediare nuove fabbriche in Italia, perché qui abbiamo bisogno di utilizzare le maestranze che spesso vanno in cassa integrazione, come è accaduto qualche giorno fa con il Gruppo Stellantis, che ha messo in cassa integrazione per sessanta giorni i/le dipendenti della fabbrica di Mirafiori.

Questa direzione è stata presa dal ministro Adolfo Urso – che ce l’ha comunicata nel corso del forum pubblicato l’8 febbraio scorso. Non si può che essere d’accordo con questo nuovo indirizzo, che ci auguriamo utilizzi meglio le scarse risorse per rinnovare lo stravecchio parco auto italiano.