Per il rituale giro d’orizzonte delle democrazie sul nostro Pianeta, oggi puntiamo i riflettori sull’India, perché è divenuto il Paese con il maggior numero di abitanti del mondo. Essi sono stati accertati dall’Onu in 1.430 miliardi circa, più di quelli che vivono nella Repubblica popolare cinese.
L’India divenne famosa alle civiltà occidentali con i libri di Emilio Salgari, che avevano come eroe Sandokan. Si trattava di avventure immaginarie in scenari immaginari che comunque avevano come riferimento, appunto, l’India.
Da quel Paese le civiltà occidentali hanno tratto insegnamenti in materia di artigianato, commercio, spiritualità, culinaria e altro, ma non vi è stata alcuna influenza per quanto concerne, per esempio, le istituzioni in generale e l’organizzazione della popolazione.
L’India è composta da 28 Stati autonomi che confluiscono in uno Stato centrale. Vi sono elezioni che fino a oggi risultano essere libere, ma poi in effetti quella democrazia sui generis non ricalca il modello delle democrazie occidentali.
L’India è grande quanto un continente, immersa dentro l’Oceano Indiano; è estesa per circa 4,5 milioni di chilometri quadrati ed è composta di tre regioni molto diverse fra di loro.
L’agricoltura era l’attività economica prevalente, ma nel tempo, pian piano, si sono sviluppate le attività industriali, dei servizi e del turismo, che funzionano molto bene.
Quel Paese ha subìto la dominazione inglese per quasi centocinquant’anni (1803-1947), che ha lasciato tracce nella cultura oltre che nell’organizzazione amministrativa e nel funzionamento delle istituzioni.
La letteratura indiana comincia con il periodo vedico, intorno al 3.000 a. C. e prosegue fino a quello del Buddha nel 500 a. C.. Vi sono numerose religioni tra cui l’induismo – basato sulla trimurti Brahmā, Viṣṇu, Śivail – il Buddismo, il Cristianesimo e l’Islam.
Tra le industrie più importanti vi è il gruppo automobilistico Tata, che ha comprato alcune industrie europee fra cui la Jaguar di Coventry.
Quell’economia è in continua espansione perché ha adottato alcuni dei principi organizzativi ed economici dell’Occidente, ove molti dei/delle propri/e giovani vanno a studiare.
Perché passiamo in rassegna quel grande Paese asiatico? Perché ormai l’economia è diventata planetaria, come planetario è il clima. Per cui il grande inquinamento causato dall’utilizzo di fonti fossili per l’energia, come il carbone tedesco o cinese, ha refluenze su tutti i continenti, terrestri e non.
Per cui, quando noi europei affrontiamo questioni come se fossimo al centro del mondo, dimentichiamo che invece nel mondo vi sono Paesi enormi, come la Cina, che ha più di tre volte la popolazione dell’Unione europea e un Pil in continua crescita.
Quel Paese interviene con sobrietà nelle varie questioni più delicate e scabrose che stanno accadendo in questi decenni. Per esempio, riguardo l’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione russa ha mantenuto un profilo molto prudente ed equilibrato, né pro né contro Putin.
Il capo dello Stato indiano è Droupadi Murmu e tale autorità viene eletta, si dice, democraticamente dai/dalle cittadini/e di tutti gli Stati. Sembra però che in quel Paese dominino le caste, le famiglie e i gruppi religiosi, per cui non si tratta di una vera democrazia come è intesa in Occidente, bensì di un sistema a strati che filtra la volontà popolare per arrivare ai piani alti delle istituzioni.
Noi occidentali non possiamo giudicare se si tratti di vera democrazia come la intendiamo o di altro sistema istituzionale, perché non ci soffermiamo quasi mai sull’Oriente del mondo, salvo fare riferimento ad alcune civiltà di stampo occidentale come l’Australia o la Nuova Zelanda, di estrazione britannica.
Avere uno sguardo panoramico è sempre utile per formarsi delle idee migliori dei nostri piccoli spazi, veramente infinitesimi rispetto all’intero Pianeta, nel quale esistono oltre duecento Stati, la maggior parte dei quali aderiscono all’Onu di New York.
Non sembri strano questo editoriale perché, lo ribadiamo, riteniamo utile avere la vista lunga e non corta, per ritrovare un’umiltà che va perdendosi, oltre che una visione sistemica del mondo.