Editoriale

India sul podio, il mondo si divide

Il primo ministro indiano, Narendra Modi, sta conducendo il suo Paese verso uno sviluppo economico e sociale mai visto prima. Non solo, ma sta sviluppando tutto il settore tecnologico attraverso la ricerca e la formazione di giovani professionisti indiani inviati nelle migliori università del mondo.
Modi sta contribuendo ad allargare la rete economica in competizione con l’Occidente, allargando l’associazione BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Africa del Sud) a undici membri e, prossimamente, a diciannove.
Il suo obiettivo è quello di diventare la seconda potenza economica mondiale entro trenta o quarant’anni, in quanto la prima già nel 2030 diverrà la Cina, perché è pronosticato da tutti il sorpasso per Pil sugli Stati Uniti.
Fanalino di coda in questa competizione mondiale fra Est e Ovest sarà l’Unione europea perché i suoi ventisette stati non si mettono d’accordo per amalgamarsi e quindi puntare decisamente allo sviluppo.

L’India ha superato per popolazione già la Cina ed è anche accreditata rispetto al mondo occidentale per una democrazia più di apparenza che di sostanza. Nonostante ciò, quella nazione si sviluppa e cresce notevolmente sotto tutti i punti di vista, con gruppi imprenditoriali, come quello di Ratan Tata, quarta generazione di Mumbai, che gestisce un gruppo da centocinquanta miliardi di dollari di fatturato con circa un milione di dipendenti.
Per fronteggiare questa crescita impetuosa delle due economie asiatiche, Cina e India, gli Stati Uniti affannosamente cercano di mettere un argine con le due nazioni alleate e cioè il Giappone e la Corea del Sud. Biden, proprio in questi giorni, ha ricevuto a Camp David i premier dei due Paesi.
Finché la competizione è economica, va tutto bene; il problema si pone quando vi sono obiettivi di conquista di territori e in questo senso la Cina non nasconde, anzi evidenzia, la sua intenzione di annettersi l’isola di Taiwan dopo essersi annessa Hong Kong.
Vi sono pericolose esercitazioni in quei mari ed è ogni giorno a rischio lo scontro di aerei.
L’Unione europea, come Cenerentola, è diventata il cagnolino degli Stati Uniti sotto tutti i punti di vista e soprattutto sotto quello della politica estera. Si è fatta invischiare nella guerra russo-ucraina, applicando insensate sanzioni alla Russia, che hanno fatto scattare – come più volte abbiamo scritto – l’inflazione e la speculazione, che stanno danneggiando fortemente le stesse economie europee.
Infatti, Germania, Olanda e Ungheria sono entrate in recessione e tutti gli altri Paesi hanno crescite di Pil risibili (inferiore all’uno per cento) se paragonate alla crescita di Cina (oltre il sei per cento) e India (percentuale analoga).

La diatriba all’interno dell’Unione europea sembra un chiacchiericcio di nani perché i primi ministri e relativi governi non hanno la capacità di progettare il futuro e di decidersi una volta per tutte se farla sul serio l’Unione europea, unificando il sistema dei trasporti e il sistema fiscale, creandosi una difesa comune e soprattutto una politica estera comune, che oggi è quasi inesistente.

I bilanci dei Paesi europei sono andati in tilt per effetto dei due fenomeni macroeconomici prima accennati: inflazione e speculazione.
Da questi comparti hanno fortemente guadagnato quello delle banche, l’altro dell’energia e soprattutto il settore delle armi, perché l’aumento vertiginoso di forniture all’Ucraina ha moltiplicato il fatturato e i relativi utili.
Per contro, la diminuzione dei consumi, per effetto dell’aumento macroscopico dei prezzi, sta determinando una contrazione di tutte le economie perché, come è noto, esse hanno due gambe principali: i consumi e la produzione di beni e servizi.
La recessione in Germania ha un contraccolpo in Italia, che è fortemente esportatrice di componenti della produzione, specialmente quella automobilistica.
L’Unione europea non si è ancora unificata, ma trasmette fra i propri membri le negatività come vasi comunicanti. Hanno dimenticato il Patto costitutivo del 1957 dell’Europa a sei?