Posso portare fuori mio figlio per una breve passeggiata? Posso fare attività fisica all’aperto? Domenica i negozi saranno aperti?
Questi sono solo alcuni degli interrogativi che tutti noi ci siamo posti in questi giorni, spesso non trovando risposte certe. Mai come in questo periodo, in effetti, i cittadini hanno sperimentato sulla propria pelle il peso insopportabile della burocrazia. La battaglia contro il Coronavirus si sta combattendo negli ospedali ma anche a suon di decreti ed ordinanze che da una parte sono servite a mettere in atto tutta una serie di misure stringenti finalizzate al contenimento dei contagi. Dall’altra parte, però, un doloroso effetto collaterale lo hanno prodotto: il caos normativo.
Risultato? Cittadini stanchi, stressati e disorientati.
Il Decreto legge n. 19 del 25 marzo 2020 stabilisce, all’articolo 3, le misure urgenti di carattere regionale o infraregionale: “Nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri – recita il primo comma – di cui all’articolo 2, comma 1, e con efficacia limitata fino a tale momento, le regioni, in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso, possono introdurre misure ulteriormente restrittive, tra quelle di cui all’articolo 1, comma 2, esclusivamente nell’ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale”.
L’articolo 3 del suddetto decreto ha dato dunque margini più ampi di manovra ai governatori delle Regioni che, spesso in aperta polemica con il governo nazionale, hanno dato vita ad una pioggia di ordinanze con le quali hanno ritenuto di gestire “a modo proprio l’emergenza”. È saltata così tradizionale gerarchia delle norme che vede in cima le fonti costituzionali, poi quelle legislative (leggi, decreti legge, decreti legislativi, leggi regionali) ed infine quelle regolamentari (e cioè, per l’appunto, regolamenti del governo e degli enti locali).
Divieti su divieti che hanno confuso anche i cittadini siciliani alle prese con le ordinanze del Presidente della Regione, Nello Musumeci. L’ultima è quella firmata ieri: ulteriori limitazioni al transito dei passeggeri nello Stretto di Messina, con potenziamento del controllo sanitario. Divieto di gite “fuori porta” e ancora, obbligo dell’uso di mascherine e guanti per il personale dei negozi alimentari. Dunque ulteriori disposizioni restrittive a dispetto del calo dei contagi che si sta registrando in Sicilia.
Musumeci insiste sulla linea della fermezza e del rigore, forte anche delle risultanze di uno studio del dipartimento di Scienze economiche, aziendali e statistiche dell’Università di Palermo secondo cui proprio la Sicilia potrebbe essere la prima Regione italiana a raggiungere l’obiettivo di “zero contagi”, solo se continua a mantenere le restrizioni in vigore.
Non ci resta che sperare che quello chiesto ai siciliani sia davvero l’ultimo sacrificio.
Mascherine, i presidenti delle Regioni si scoprono “scienziati” ignorando le linee guida dell’Oms
Sulle mascherine negli ultimi mesi si è detto tutto il contrario di tutto. Per qualcuno andrebbero indossate perfino dentro casa, per altri non hanno alcun senso se si rispetta la distanza minima di un metro tra le persone. Il capo della Protezione civile Angelo Borrelli, in uno dei consueti appuntamenti delle 18 con la stampa, ha detto laconicamente “io non la uso”. Stessa cosa ha ripetuto, nel corso del programma “DiMartedì” su La7, la virologa Ilaria Capua. Si tratta, però, di “opinioni personali” e dunque occorre andare anzitutto chiarire cosa dice in merito la comunità scientifica.
Secondo le ultime linee guida dell’Oms la mascherina, operatori sanitari a parte, andrebbe indossata solo se si sospetta di aver contratto il Covid-19, per esempio perché si presentano alcuni sintomi come tosse e starnuti, oppure se si sta accanto a una persona che potrebbe essere infetta. In ogni caso, spiega l’Organizzazione mondiale della sanità, l’uso della protezione facciale non deve escludere le altre raccomandazioni, come lavarsi spesso le mani e rispettare la distanza fisica.
“Le mascherine – ha spiegato Dorit Nitzan, coordinatore per le emergenze sanitarie dell’Oms nella regione europea – fanno parte di una strategia e di un approccio comprensivo e non sono l’unica misura di protezione. In più, a volte le persone le indossano credendo di essere protette, contribuendo a diffondere il virus”. Insomma, in altre parole, si sta generando in larghi strati della popolazione una sorta di “falso senso di sicurezza”, come se bastasse coprirsi naso e bocca per essere immuni.
A contribuire a questo caos anche una certa “schizofrenia” istituzionale. Le Regioni stanno andando in ordine sparso e perfino nei Comuni le regole cambiano a colpi di ordinanze sindacali. In Lombardia sono obbligatorie ovunque, ma a causa della carenza è consentito usare anche una sciarpa o un foulard (che servono quasi a nulla) per non incorrere in una sanzione. In Toscana si devono indossare negli spazi chiusi, ma anche in quelli aperti se non si può mantenere la distanza di un metro. In Sicilia il presidente Nello Musumeci ha appena confezionato una nuova ordinanza “pasquale”, firmata la notte tra mercoledì e giovedì, che prevede un obbligo “soft”: “negli esercizi commerciali di vendita e distribuzione di generi alimentari, anche all’aperto, gli operatori sono tenuti all’uso di mascherina, all’utilizzo di guanti monouso o, in alternativa, al frequente lavaggio delle mani con detergente disinfettante”. Inoltre, nei luoghi dove “non è possibile mantenere la distanza di 1 metro tra persone, è fatto obbligo a ciascuno di coprire naso e bocca con una mascherina o con altro adeguato accessorio”. A Noto, in provincia di Siracusa, però è stato introdotto un obbligo ben più stringente dal sindaco Corrado Bonfanti, con i cittadini tenuti a indossare la mascherina, “anche se non certificata o di fattura artigianale, idonea a coprire bocca e naso contemporaneamente”, pena una multa da 25 a 500 euro con denuncia ai sensi dell’articolo 650 del Codice Penale”.
Insomma non si capisce più niente, con cittadini smarriti e spaventati, in cerca della “mascherina perduta”. Secondo un’indagine di Altroconsumo ne è sprovvista una farmacia su due e in media il prezzo è di 2 euro per una mascherina chirurgica, con differenze fino al 1.200% e con città, come Palermo, dove sono risultate ancora più difficili da reperire.
“Per quanto riguarda i tipi di mascherine disponibili – si legge nell’indagine – si tratta quasi sempre di dispositivi chirurgici o similchirurgici (cioè di mascherine concepite per proteggere gli altri da chi le indossa e non viceversa), per lo più in carta, cotone, lavabili, a tre strati. Per i veri e propri dispositivi di protezione individuale, quelli dotati di filtro FPP2 e FPP3, la disponibilità è minore se non addirittura inesistente (per le FPP3). In una farmacia di Napoli una mascherina definita ‘chirurgica’ viene venduta a 6 euro e 50 centesimi al pezzo, ben il 1200% in più rispetto ai 50 centesimi del minimo venduto a Milano. In media, una mascherina chirurgica è venduta a circa 2 euro al pezzo, una FPP2 a quasi 10 euro e una FPP3 (trovata in un solo punto vendita) a 35 euro. A Roma il 76,2% delle farmacie contattate non aveva le mascherine, a Palermo il 70%”.
Uno scenario di fronte al quale restano sorde le parole dell’Oms: “Continuiamo a raccomandare che le mascherine vengano indossate dagli operatori sanitari, dalle persone infette e da coloro che se ne prendono cura. Se ne avete di extra, donatele ai Paesi in cui medici e infermieri non ne hanno”.
Sport all’aperto e passeggiate con i bambini sono consentite in prossimità dell’abitazione
Tra gli argomenti maggiormente dibattuti nelle ultime settimane – e tra quelli che probabilmente hanno creato maggiore confusione tra i cittadini a causa dell’accavallarsi di provvedimenti emanati da Governo centrale e Regioni – c’è quella della passeggiata, in singolo o in compagnia dei bambini.
C’è voluta un’apposita Circolare, pubblicata dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese il 31 marzo scorso, per chiarire che: “Per quanto riguarda gli spostamenti di persone fisiche, è da intendersi consentito, a un solo genitore, camminare con i propri figli minori in quanto tale attività può essere ricondotta alle attività motorie all’aperto, purché in prossimità della propria abitazione”.
“La stessa attività – è scritto ancora nel documento diffuso dal Viminale – può essere svolta, inoltre, nell’ambito di spostamenti motivati da situazioni di necessità o per motivi di salute”.
Opportuni chiarimenti sono inoltre stati diffusi per quel che concerne la possibilità di effettuare attività fisica al di fuori della propria abitazione: “È giustificata – si legge sul sito della Presidenza del Consiglio dei ministri, che ha istituito un’apposita sezione con le domande frequenti da parte dei cittadini – ogni uscita dal domicilio per l’attività sportiva o motoria all’aperto”.
In tal senso, viene comunque chiarito che: “L’attività motoria all’aperto è consentita solo se è svolta individualmente e in prossimità della propria abitazione. È obbligatorio rispettare la distanza di almeno un metro da ogni altra persona. Sono sempre vietati gli assembramenti”.
Insomma, la legge parla chiaro: prudenza e rispetto delle regole sì, ma senza esagerare con le restrizioni.
Supermercati e negozi chiusi nel weekend, mossa tagliagambe, eccessiva per il commercio
Tutti gli esercizi commerciali in Sicilia – supermercati in testa – continuano a restare chiusi la domenica e nei giorni festivi (dunque anche il lunedì di Pasquetta). Tutti, tranne le farmacie di turno e le edicole. Lo aveva confermato l’ordinanza firmata il 4 aprile dal presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci, per evitare assembramenti e contrastare quindi, ancora di più, il propagarsi del Coronavirus nell’Isola, lo ha ribadito l’ordinanza firmata ieri.
Il primo provvedimento era stato adottato dopo una video conferenza con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e i ministri degli Affari regionali e della Salute Francesco Boccia e Roberto Speranza. Continua dunque la linea dura del presidente Musumeci che di fatto ha confermato le disposizioni già presenti nell’ordinanza dello scorso 19 marzo e che avevano suscitato qualche polemica in quanto, molti, vedevano la chiusura domenicale come una “occasione” per affollare ulteriormente i supermercati nei giorni dal lunedì al venerdì. Con una circolare dei giorni scorsi, anche il capo della Protezione civile regionale, Calogero Foti ha inoltre precisato che durante la chiusura domenicale e nei giorni festivi delle attività commerciali disposta con ordinanza dal presidente della Regione, anche i servizi di consegna a domicilio devono intendersi sospesi, con eccezione di farmaci e di materiale editoriale. Il provvedimento, si legge nella circolare, è stato necessario per fornire ulteriori chiarimenti “a seguito di quesiti posti al Drpc Sicilia intesi a fugare dubbi interpretativi sorti a seguito della copiosa adozione di provvedimenti, nazionali e regionali, dettati dall’esigenza di contenere la diffusione del Covid-19”.
Ma era davvero necessaria questa stretta? In questo momento di crisi sanitaria ed economica, obbligare i pochi negozi che ancora potevano restare aperti ad abbassare le saracinesche anche di domenica va a gravare ulteriormente la loro situazione, di fatto limitando ancor di più la possibilità di vendere (già ridotta al lumicino) e, anche dal punto di vista sociale, relegare milioni di siciliani a casa, senza la possibilità di avere quell’ora d’aria che era rappresentata dall’uscita per andare al supermercato, di sicuro non contribuisce a tenere sereni gli animi. E così ancora oggi, dal lunedì al venerdì, con picchi proprio nel giorno consacrato a Venere, fare la spesa diventa un esercizio di grande pazienza. Ma chissà, proprio la pazienza dimostrata dai siciliani potrà aiutarci a superare tra i primi in Italia l’emergenza. Chi vivrà (brutto da dire in questo periodo, ma efficace) vedrà.