Salute

Influenza, medici famiglia “Troppi whatsapp impropri da pazienti, fonte conflitti”

L’influenza è la protagonista assoluta in questi giorni delle “centinaia di chiamate, messaggi whatsapp, mail che ogni giorno stiamo ricevendo dai pazienti”. A chiamare sono “persone con febbre alta e sintomi respiratori che chiedono assistenza, consigli e, per i pazienti in età lavorativa, certificati malattia”. Una pressione “intensa, caratterizzata sempre più dall’invio di tanti, troppi whatsapp, spesso mal utilizzati, che rischiano di diventare fonte di conflitto tra medico e paziente”. A illustrare all’Adnkronos Salute le nuove forme di comunicazione tra camici bianchi e assistiti, in un momento di particolare affollamento degli ambulatori, è Silvestro Scotti, segretario generale della Federazione dei medici di medicina generale (Fimmg).

“Conversazioni” cliniche non facili da gestire

L’uttilizzo massiccio dei whatsapp da parte dei pazienti “è spesso un problema – sottolinea – perché le domande spesso si trasformano in ‘conversazioni’ cliniche non facile da gestire e per le quali il medico non ha sufficiente tempo in una giornata lavorativa. Questo tipo di messaggi possono essere molto utili per una richiesta specifica – precisa Scotti – ma non certo per consulenze mediche che richiedono approfondimenti, domande, verifiche. Va usato per comunicazioni definite con il medico, che non hanno necessità di approfondimenti”.

Strumento spesso mal utilizzato

Questo strumento “è molto spesso mal utilizzato – ribadisce il segretario Fimmg – e crea aspettative di risposta immediata che non possono essere date perché il messaggio, durante una giornata di visite, può essere letto dal medico spesso dopo le altre attività. Inoltre, quando i messaggi sono tanti, c’è anche il rischio che il messaggio, seppur letto, possa ‘perdersi’, oppure che arrivi a fine giornata quando non è possibile ad esempio fare una prescrizione e bisogna rimandarla al giorno dopo. E questo crea incomprensioni e aumenta la conflittualità. C’è un’incomprensione, o scarsa conoscenza, rispetto alla giornata lavorativa del medico – rileva Scotti- e qualche volta anche un po’ di maleducazione informatica”.