La riduzione del divario tra Nord e Sud Italia è un tema che affonda le sue radici nel passato e che viene spesso ripreso all’avvinarsi delle elezioni politiche, con promesse elettorali più o meno concrete. Non sfuggirà, ad esempio, il dibattito sulle ricadute dirette, indirette e indotte della creazione del Ponte di Messina che, inevitabilmente, rimette al centro il tema del divario infrastrutturale e logistico e le potenziali opportunità che l’opera offrirebbe alle imprese e ai cittadini siciliani.
Il ruolo centrale delle infrastrutture risulta evidente osservando l’impatto che un investimento in questo campo ha sul resto dell’economia: per ogni euro investito in infrastrutture, si stima una ricchezza aggiuntiva per il territorio che oscilla tra 1,5 e 2,7 euro. Queste importanti ricadute possono essere ulteriormente amplificate in Sicilia, in quanto una solida base infrastrutturale può rappresentare un elemento di competitività dei principali settori portati dell’Isola come il turismo, l’economia del mare, l’energia.
La centralità delle infrastrutture nelle politiche di sviluppo territoriali, si dimostra mettendo in relazione l’Indice di dotazione infrastrutturale realizzato dall’Istituto Tagliacarne – che considera rete stradale, rete ferroviaria, porti, aeroporti, reti energetiche-ambientali, reti per la telefonia e la telematica, reti bancarie e servizi vari – con il Prodotto Interno Lordo pro capite. Dal grafico di seguito riportato è possibile notare la forte correlazione tra la ricchezza di un territorio e la presenza di una buona dotazione infrastrutturale.
Tutte le regioni meridionali, ad eccezione della Campania, sono accomunate da un basso indice di dotazione infrastrutturale e da un ridotto PIL pro capite. La bassa dotazione di infrastrutture fisiche e digitali della Sicilia rispetto al resto d’Italia, sommata alla sua condizione di insularità (non a caso nel luglio 2022 è stata riconosciuta la condizione di insularità di Sicilia e Sardegna nella Costituzione, grazie all’inserimento nell’articolo 119 dopo il quinto comma della previsione “la Repubblica riconosce le peculiarità delle Isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità”), è causa di forti svantaggi competitivi per le imprese, che devono farsi carico di costi maggiori, a parità di performance, rispetto alle imprese settentrionali.
Secondo stime recenti del Nucleo di Valutazione e Verifica degli Investimenti Pubblici della Regione Siciliana (NVVIP) e dal Servizio Statistica ed Analisi Economica dell’Assessorato all’Economia della Regione Siciliana, solo la condizione di insularità costa alla Sicilia tra i 6,5 e i 6,8 miliardi di Euro, pari a quasi l’8% del PIL regionale.
Un elemento particolarmente rilevate di svantaggio competitivo per le imprese siciliane è dato dalla bassa dotazione di infrastrutture di mobilità.
La Sicilia è, infatti, penultima in Italia sia per dotazione di infrastrutture stradali, che di infrastrutture ferroviarie nell’indicatore elaborato da Banca d’Italia, con un valore indice rispettivamente pari a 85,5 e a 77,7 rispetto a una media nazionale di 100.
In aggiunta, nonostante la centralità della Sicilia nel Mediterraneo possa garantire un importante sviluppo di tutta la filiera dell’economia del mare, ad oggi solo il porto di Messina risulta essere collegato all’Infrastruttura Ferroviaria Nazionale.
La carenza di collegamento ferroviari nei porti è un problema comune a tutto il Mezzogiorno, nel quale sono concentrati il 65% dei porti commerciali, quasi tutti sprovvisti di questo servizio.
Inoltre, tra i cinque porti “Core” – ovvero i nodi principali al centro della rete europea TEN-T – non collegati all’Infrastruttura Ferroviaria Nazionale presenti al Sud Italia, due di questi insistono sul territorio siciliano: Palermo-Termini Imerese e Augusta. Tuttavia, grazie al protocollo d’intesa tra RFI, Autorità di Sistema Portuale della Sicilia Orientale e Regione Siciliana è oggi in fase di realizzazione il collegamento tra il porto di Augusta e l’Infrastruttura Ferroviaria Nazionale, finanziato interamente con i fondi allocati dal PNRR.
Al tema della mobilità si affianca l’urgenza di intervenire sulle altre tipologie di infrastrutture fisiche: la Sicilia, infatti, presenta una media di 4,9 interruzioni senza preavviso del servizio elettrico per utente nel 2019, un valore superiore di oltre due volte la media nazionale di 2,4. A questo si aggiungono le criticità legate alla qualità del servizio idrico, che fanno posizionare l’Isola al penultimo posto a livello nazionale, con un tasso di dispersione dell’acqua immessa in rete pari a circa il 50%.
I ridotti investimenti infrastrutturali – con particolare riferimento a quelli stradali e ferroviari – in Sicilia e, più in generale, nel Mezzogiorno sono particolarmente influenzati dall’attuale metodo di valutazione (la c.d. analisi costi-benefici), che non considera le importanti ricadute in termini di coesione e sviluppo, economico e non, per un territorio derivanti dalla creazione di una infrastruttura, riducendone l’appetibilità per il decisore pubblico e, di conseguenza, la sua probabilità di realizzazione.
Segnali promettenti su questo tema arrivano dal MIMS, che nell’aggiornare le Linee Guida per la valutazione di investimenti in opere pubbliche ferroviarie ha introdotto nuovi indicatori sociali e di governance, come ad esempio le ricadute occupazionali e il miglioramento del welfare a vantaggio dei consumatori, che si affiancano ai criteri di sostenibilità dell’investimento già previsti dalla normativa, a riprova della caratteristica di multidimensionalità delle infrastrutture.
Porre l’accento su una rapida realizzazione di interventi infrastrutturali – sia fisici che digitali – risulta essere dunque il primo passo per chiudere il divario tra Nord e Sud, consentendo alla Sicilia, e alle sue imprese, di competere sul territorio nazionale e internazionale con le stesse opportunità garantite alle altre realtà imprenditoriali.
Le infrastrutture sono infatti classificabili tra i fattori abilitanti dello sviluppo di un territorio, insieme al capitale umano e alla Pubblica Amministrazione.
Il loro sviluppo rimane oggi il più importante strumento ed elemento imprescindibile per realizzare una politica industriale efficace, che sia in grado di restituire l’attrattività al territorio e offrire alle numerose realità di eccellenza locali una valida opportunità di crescita alternativa a quella di emigrare verso altre regioni che siano in grado di valorizzarle e dispiegarne il potenziale.