Sono 1.027.170 i pensionati tra pubblici e privati in Sicilia, con l’isola che risulta all’ultimo posto in Italia per numero di pensioni previdenziali nell’ambito della gestione privata (785.214 in totale, con 36.733 trattamenti in meno nel quadriennio 2015-2018): 171 ogni mille residenti (179 nel Lazio e 180 in Campania).
Non solo. La Sicilia, sempre in ambito privato, presenta l’importo medio pensionistico più basso per i trattamenti d’invalidità (641,22 euro contro 705,95 euro del dato nazionale), mentre si piazza al penultimo posto per gli importi di quelli di vecchiaia e superstiti. Sono alcuni dei dati che emergono dal bilancio sociale dell’Inps per il 2018 presentato, a Palazzo dei Normanni, dal direttore regionale dell’Istituto, Sergio Saltalamacchia, dal presidente del comitato regionale Girolamo Binaggia e dal presidente del comitato di indirizzo e vigilanza nazionale Guglielmo Loy.
Tutti i numeri delle pensioni in Sicilia
Sono 241.956 invece le pensioni che gravano sui fondi della gestione pubblica dei lavoratori dipendenti; il 68% è rappresentato da pensioni di vecchiaia/anzianità, il 24% da quelle ai superstiti e l’8% dalle pensioni di invalidità. A differenza delle gestione privata, l’isola, rispetto alle altre aree geografiche del Paese, presenta l’importo medio più basso nella categoria vecchiaia e superstite, mentre nelle altre tipologie l’importo è superiore rispetto alle altre aree del Paese. In particolare, per quelle di anzianità l’importo medio in Sicilia è prossimo a quello dell’area Sud (2.248,43 euro rispetto a 2.248,89 euro), che risulta il più alto a livello nazionale.
Loy, “Quota cento ha premiato maschi, pubblico impiego e Nord”
Guglielmo Loy, presidente del comitato di Indirizzo e vigilanza Inps nazionale, parlando con i cronisti a margine della manifestazione, ha detto: “Non si cambia un sistema pensionistico ogni anno e Quota cento probabilmente sarà rivista, ma nel corso del tempo”.
“Le donne – ha aggiunto – sono state massacrate dagli ultimi interventi pensionistici, dalla Fornero a Quota cento, che ha premiato i maschi e il pubblico impiego e il Nord Italia. È rimasta scoperta un’intera fascia di popolazione che non può accedere ai 38 anni di contributi e alla quale va data una risposta con strumenti di flessibilità di uscita diversa dall’attuale. Non tutti i lavori sono uguali, non tutti possono permettersi di arrivare con 42 anni di contributi a 63-64 anni. Ci sono disoccupati a 63 anni che non hanno i loro anni di contribuzione e che rischiano di dovere aspettare i 67. Quota 100, quindi, va aggiustata”.
“Il Reddito di cittadinanza come l’aspirina”
Loy ha parlato anche del Reddito di cittadinanza affermando che è “come l’aspirina quando si ha un po’ di mal di testa: serve, ma se le cause non vengono individuate, sarà necessario un farmaco sempre un po’ più potente”
“Giusto, quindi – ha aggiunto – dare una risposta a chi non ha nulla, ma alla lunga, se il tema è quello di svuotare questo bacino enorme di persone in disagio sociale, occorre affrontare la questione della crescita e dello sviluppo. Quindi parte delle risorse, peraltro poche, va sempre indirizzata per politiche di sostegno alle imprese, innovazione e ricerca, aggiungendo e integrando i filoni anche virtuosi che esistono in realtà come quella siciliana anche se meno rispetto al resto del Paese”.
Reddito cittadinanza, in Sicilia ne beneficia mezzo milione
E sono quasi mezzo milione i siciliani che beneficiano del reddito di cittadinanza. La Sicilia è seconda, per numeri, solo alla Campania.
Fino al primo agosto di quest’anno, come risulta dal bilancio sociale dell’Inps, le domande presentate in Sicilia per l’accesso alla misura sono 283.826 ma, ha spiegato il direttore regionale dell’Istituto di previdenza, Sergio Saltalamacchia, il dato a oggi supera le trecentomila istanze.
Il numero più alto di richieste si registra a Palermo: quasi centomila.
“Ovviamente – ha detto Saltalamacchia – più lavoro nero c’è, più furbetti ci possono essere. Non è un mistero, nonostante le forti sanzioni penali: il livello dei controlli non può essere così ampio da riuscire a intercettare un 30% di economia e di lavoro sommerso. Quindi, in quelle realtà in cui c’è più lavoro nero, ci sono sicuramente più furbetti”.